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Daniil Charms

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Daniil Charms odiava i bambini, non li sopportava. E i bambini invece lo adoravano, quando lui improvvisava stralunati monologhi o insensate poesie, i bambini letteralmente impazzivano, era il caos. Non era uno scrittore per bambini, ma si ritrovò ad esserlo, e quel poco che guadagnava scrivendo, lo doveva alle pubblicazioni per bambini. Non piaceva a nessuno, non piaceva ai futuristi perché davvero spiazzante, lontano da qualunque manifesto poetico, imprevedibile, folle. Non piaceva, ovviamente, al mondo letterario sovietico ufficiale, non c'era nessuna visione di una neppur lontana strada per l'edificazione del socialismo, nelle sue opere. I suoi racconti brevi, grotteschi, assurdi, disintegrano ogni categoria logica.Una vecchina che cade dalla finestra. Altre vecchine che la guardano e precipitano anche loro, e così via. Il falegname che esce scivola e batte la testa. Va a farsi medicare, esce scivola e si fa male al braccio, torna a farsi medicare, esce scivola e si rompe una gamba, e così via. Un uomo che non aveva orecchie, non aveva capelli, non aveva naso e bocca, non aveva braccia e gambe, non aveva nulla: allora meglio non parlarne, conclude.E così, piccole miniature di insensatezze e banalità, prose stralunate e surreali, come cocci di un mondo esploso e rimesso insieme a caso, in tutta la sua incoerenza/inconsistenza, in tutta la sua assurda insistenza ad esistere.Una dolente figura di folle, questo poeta poverissimo, di un'innocenza candida e nevrotica, dall'estrema fragilità emotiva. Non mangiava per giorni, perché non aveva i soldi per comprare da mangiare. Dormiva tutto il giorno per non sentire la fame. «Mi impegno fino a sabato 30 ottobre a non sognare soldi, un appartamento, la fama» scriveva il 9 ottobre 1937. Arrestato, confinato a Kursk, morì in un ospedale psichiatrico, nel '42. La valigia con tutte le sue carte fu messa in salvo da un amico, che letteralmente la tirò su dalle macerie della sua casa bombardata, durante l'assedio di Leningrado.

Veronero
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Fra i grandi russi del Novecento, Daniil Charms è forse sinora il meno conosciuto. Un pò per il carattere frammentario di questi testi, un pò per le infelicissime sorti editoriali che essi hanno subito, solo in questi ultimi anni ci si è potuti rendere pienamente conto della loro rilevanza unicità. Dotato di un debordante talento comico, unito a un perverso rigore metafisico, Charms è maestro nel vanificare qualsiasi realtà gli accada di nominare. Racconti di pochi istanti, trame incongrue e persecutorie, irrisioni sistematiche: questo è il terreno della sua prosa. Verrebbe da pensare al 'dada', come alla "poetica dell'estremismo" più affine a Charms. Ma la sua singolarità è tale da non tollerare inquadramenti. Charms rimane soprattutto come uno stupefacente narratore di "casi", tanto gratuiti quanto ineluttabili. Rispetto alla gelida purezza dei suoi esperimenti di parodia sistematica di tutto, le versioni occidentali dell'assurdo - da Camus a Ionesco - appaiono timide. Charms stesso accennò una volta alla peculiarità del suo modo di essere con parole quanto mai semplici, dirette e precise: "A me interessano solo le 'sciocchezze', solo ciò che non ha significato pratico. La vita mi interessa solo nel suo manifestarsi assurdo. Erotismo, pathos, ardimento, moralità, commozione e azzardo sono parole e sentimenti che mi sono odiosi. Ma comprendo perfettamente e ammiro: entusiasmo ed esaltazione, ispirazione e disperazione, passione e riservatezza, dissolutezza e castità, tristezza e dolore, gioia e riso".

Non sara.. per caso che tra le mani mi e.. capitato questo libro che s'intitola, guarda caso, Casi, scritto da un geniale autore russo, Daniil Charms (vero nome Daniil Ivanovic Juovacev), nato a Pietroburgo nel 1905 e morto (o, meglio, fatto morire) nel 1941 a Leningrado (ora di nuovo Pietroburgo). Dopo anni di prigione e di confino, e di sole pubblicazione riservate a ragazzi, e ogni tanto qualche poesia che vedeva la luce su riviste di scarsa diffusione, è arrivato Casi.

Casi e'... un libro enciclopedico che parla di tutto (o quasi) e lo fa in tanti modi. Narra in forma di racconto, di saggio, di lettera e diario delle cose e dei fatti piu.. disparati. Ci sono anche materiali pseudo-autobiografici, scritti teorici ecc. Fa ridere e piangere allo stesso tempo, soprattutto quando in poche frasi descrive il dramma della sua vita sotto il regime stalinista, le vessazione subite. Eppure Charms non smette mai di fare il grande artista, il vero poeta, anche quando scrive in prosa. Frammenti contaminati e aguzzi. Esplosioni di concetti, idee, luoghi comuni. Il mondo svuotato e privo di senso. L'umore nero, insistente, assillante (v. il racconto iperkafkiano La vecchia), la risata che non lascia speranza e t'accappona la pelle. Le ripetizioni ossessive, i sussulti, i dialoghi brevi, quasi muti. Le frasi deboli, elementari, infantili, assurde, la parodia e poi i saggi incomprensibili ma sempre leggibilissimi, come quello: Sul tempo, lo spazio, l'esistenza che comincia così: "Un mondo che non c'e.. non può essere definito esistente, perche... non c'e...".

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Posted by on Mon, 24 Sep 2007 10:21:00 GMT

Da Casi

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Posted by on Sun, 27 May 2007 19:48:00 GMT