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PARTITO RADICALE su WIKIPEDIA
Ideology:
Io non credo nelle ideologie, non credevo nelle ideologie codificate e affidate ai volumi rilegati e alle biblioteche e agli archivi. Non credo nelle ideologie chiuse, da scartare e usare come un pacco che si ritira nell'ufficio postale. L'ideologia te la fai tu, con quello che ti capita, anche a caso. Io posso essermela fatta anche sul catechismo che mi facevano imparare a scuola, e che per forza di cose poneva dei problemi, per forza di cose io ero portato a contestare. (dall'intervista a Playboy del 1° gennaio 1975)
The Italian Radicals are an atypical party for Italy and they are typically viewed as leftist by right-wing people, and rightist by left-wing people. Among other things, they are the only Italian party with a clear anti-clerical agenda, whereas most other parties prefer not to tread on the toes of the Catholic Church.
They are vocal supporters of human and civil rights, which they consider to include abortion, gay marriage, euthanasia, artificial insemination, stem-cell research, abolition of the death penalty all over the world and legalization of soft drugs. This put at odds the party with the mainstream centre-right parties, while their strong support of libertarian policies, the free market, liberalizations, privatizations, low taxes and privately-funded health care put it at odds with many areas of the center-left.
In foreign policy, the Radicals are instinctively and staunchly pro-American and pro-European. They also propose an American-style reform of Italian political system, including presidentialism, competitive federalism and first-past-the-post. Despite being a small party, they are also keen supporters of a two-party system (...)
IL CASO RADICALE
Radicali: il prezzo del successo
di Gianfranco Spadaccia
Questa sessione è stata dedicata ai temi del liberalismo e del libertarismo. Il tema del mio intervento è invece “Il caso radicale”. Ne parlerò non da storico, non da politologo ma da militante politico e da protagonista, da testimone della storia e delle lotte radicali. Il radicalismo non è un’ideologia ma è senza alcun dubbio una componente del pensiero liberale, una componente libertaria del liberalismo. Nella storia dell’unità d’Italia e del pre-fascismo le maggioranze liberali sono sempre state accompagnate e integrate, a volte avversate, da una componente radicale nella quale non è azzardato rinvenire i precedenti storici dell’attuale movimento radicale: da Garibaldi a Cavallotti, da Ernesto Nathan – primo sindaco di Roma alla testa di una coalizione di cui fecero parte per la prima volta i socialisti – a Zanardelli, che dette il suo nome a un Codice penale garantista, fino a Nitti e Giovanni Amendola. Durante la ventennale resistenza al fascismo e successivamente durante la lotta di liberazione predecessori diretti del radicalismo si possono legittimamente rintracciare nel movimento “Giustizia e libertà”, nella “Rivoluzione liberale” di Gobetti, nel “Socialismo liberale” di Carlo Rosselli, nel movimento liberalsocialista di Guido Calogero e di Aldo Capitini, articolazioni di un movimento antifascista che poi ebbe nella lotta armata la sua espressione nelle Brigate “Giustizia e libertà”, la più consistente componente partigiana dopo le Brigate comuniste Garibaldi; e nell’immediato dopoguerra nella sinistra liberale prima con Risorgimento Liberale e poi con il settimanale “Il Mondo” diretti da Mario Pannunzio, nelle componenti liberaldemocratiche e liberalsocialiste del Partito d’Azione e anche, per i suoi obiettivi politici, nel Movimento Federalista Europeo di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Fu tuttavia una scissione dal PLI della Sinistra liberale che faceva capo al “Mondo” a fornire l’occasione, nel 1955, della fondazione di un Partito che decise di chiamarsi esplicitamente radicale. Perché radicale e non liberale? Vi fu un ampio dibattito allora fra i fondatori del P.R.: la motivazione che prevalse fu che, nell’Europa continentale, man mano che ci si era allontanati dalle rivoluzioni liberali dei secoli XVIII e XIX, la definizione liberale aveva finito per essere sinonimo di moderato e di conservatore, a volte di reazionario: radicale è invece un modo di concepire il liberalismo più vicino al significato che, nelle società anglosassoni, ancora conserva la parola “liberal” che indica una politica non solo di conservazione ma tuttora di propulsione e di espansione della libertà nella società e nello Stato. E’lo stesso motivo che ha indotto i radicali della mia generazione a riappropriarsi delle parole liberale e liberista ma anche della parola libertario: liberalismo e, anche, liberismo ma in una accezione libertaria. E’una definizione che abbiamo dovuto contendere sempre agli anarchici rivoluzionari e oggi dobbiamo contendere anche agli anarchici di destra, mi riferisco in particolare agli anarcocapitalisti. Ciò che distingue il nostro libertarismo è la concezione del diritto che ci contrappone agli uni (il diritto non è una truffa della borghesia per giustificare la propria dittatura o i propri privilegi di classe) e ai secondi (il diritto non è necessariamente un limite alla libertà, uno strumento di oppressione dello Stato), al contrario, proprio perché fonte e legittimazione del potere esso è e deve essere, in una democrazia funzionante e in uno Stato di diritto, limite e controllo del potere e strumento di deperimento delle forme di oppressione del potere nei confronti dei cittadini. Alla base di questa concezione c’è la convinzione che la libertà non sia uno spazio residuale, ciò che viene lasciato nella disponibilità dei cittadini da una fitta rete di obblighi, proibizioni, divieti, punizioni, ma al contrario un principio ordinatore della società e della convivenza civile, capace di sollecitare e suscitare la responsabilità dell’individuo e di assicurare un efficace e non paternalistico (come accade inevitabilmente nello Stato etico) potere regolatore delle istituzioni e dello Stato. Dividerò il tema che mi è stato affidato in tre sottotitoli che, nell’impossibilità di una compiuta narrazione storica, possono consentire una sintesi per capire cosa è stato, cosa ha prodotto il Partito Radicale e quali rischi corre la politica italiana nel caso di una sua scomparsa: l’eccezione radicale; l’antagonista radicale; l’alternativa radicale.
L’eccezione radicale
Il Partito Radicale si è sempre identificato con la politica e non con il potere, almeno nell’accezione che la conquista del potere ha nel nostro sistema, di invadente occupazione delle istituzioni da parte dei partiti a cui si accompagna una incapacità di governo sia delle strutture pubbliche sia dei problemi della società. I radicali sono stati per propria scelta, salvo rare eccezioni, sempre fuori delle strutture di rappresentanza e di governo regionali, comunali, provinciali, mai nei consigli di amministrazione di enti e società pubbliche. Hanno avuto proprie rappresentanze autonome in Parlamento dal 1976 al 1994 e, con la Rosa nel Pugno, nei due anni del Governo Prodi. Dal 1994 al 1996 ebbero cinque eletti in alcuni collegi uninominali del Nord in coalizione con Forza Italia. Nelle ultime elezioni hanno avuto nove parlamentari (sei deputati e tre senatori) eletti nelle liste del Partito Democratico. Da trenta anni hanno una rappresentanza nel Parlamento Europeo. Queste presenze parlamentari, sempre strappate con molta difficoltà a una politica fortemente preclusiva, sono state ottenute in forza dei risultati delle proprie lotte politiche. In soli due casi, con Emma Bonino, è stato consentito ai radicali di avere esperienze dirette di governo: quando fu commissaria dell’Unione Europea alla pesca e ai diritti umani e quando fece parte dal 2006 al 2008 del governo Prodi come ministro agli affari europei e al commercio internazionale. Al di fuori di queste due esperienze, ci è stata anche da molti avversari riconosciuta la capacità di aver saputo governare anche dall’opposizione. Per i radicali identificarsi con la politica significa innanzi tutto questo: che ideali, valori di riferimento, strategie politiche debbano tradursi in obiettivi politici, riforme, leggi, diritto. I principi devono avere un seguito nelle azioni e nei comportamenti altrimenti diventano mere proclamazioni o peggio alibi della propria impotenza e incapacità, della propria rassegnazione, del proprio trasformismo. I campi in cui anche dall’opposizione, e spesso dalla più intransigente delle opposizioni, i radicali hanno esercitato a volte con successo la loro azione di governo sono soprattutto tre : la lotta per i diritti civili, quella federalista e transnazionale per la promozione della democrazia e dei diritti umani, le iniziative per la riforma del sistema politico ed elettorale. Per ragioni di spazio non mi è possibile pubblicare integralmente i paragrafi relativi ai contenuti dell’azione politica radicale nell’arco ormai di molti decenni. Mi limiterò qui a ricordare per quanto riguarda i diritti civili, che hanno rappresentato una costante della politica radicale, la grande vittoria del divorzio, conseguita in Parlamento nel 1970 e confermata dal voto popolare nel referendum del 1974, che nell’Italia clericale di allora fece crollare un muro e consentì nel giro di poco tempo l’approvazione di importanti riforme civili: dal nuovo diritto di famiglia all’abolizione del delitto d’onore, alla legalizzazione dell’aborto, dall’abolizione dei manicomi al riconoscimento dei diritti dei transessuali, dalla legge attuativa dei referendum popolari al riconoscimento del diritto alla obiezione di coscienza al servizio militare, dalla riforma dei codici e dei tribunali militari alla depenalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti. Nella politica transnazionale (questa parola è stata coniata nel partito radicale molto prima che divenisse di uso comune) ho rievocato la lotta ininterrotta per affermare il progetto spinelliano rivolto a fare dell’Unione Europea un vero soggetto politico federale, e per ottenerne l’apertura e il coinvolgimento verso la Turchia, Israele, altri Stati del mediterraneo al fine di rimuovere le principali cause strutturali di guerra nel conflitto mediorientale e per meglio contrastare i fondamentalismi (non solo quello islamico). Con la lotta della prima metà degli anni 80 contro la fame nel mondo, il Partito Radicale seppe prevedere con largo anticipo il nuovo confronto Nord/Sud che si sarebbe sostituito al confronto Est/Ovest con la caduta del muro di Berlino e i fenomeni della globalizzazione e delle migrazioni intercontinentali, che sfuggono ormai alle possibilità di governo delle sovranità nazionali e chiedono strumenti sovra- e trans-nazionali. Questa capacità di visione del futuro che ha caratterizzato l’azione radicale ha consentito, con la pressione e la lotta politica durata due decenni di “Non c’è pace senza giustizia” e di “Nessuno tocchi Caino”, all’Italia e all’Unione europea di conseguire proprio in questa direzione due importanti successi nel campo dei diritti umani : l’istituzione della Corte penale internazionale per i crimini contro l’umanità e la moratoria della pena di morte, recentemente approvata con netta maggioranza dalla Assemblea dell’ONU. Per quanto riguarda i tentativi di riforma istituzionale, per iniziativa radicale a metà degli anni 80 nacque la Lega per il sistema uninominale di cui fecero parte numerosi parlamentari democristiani e socialisti fra cui Mariotto Segni e che promosse i referendum per l’abolizione del sistema proporzionale, approvata nel referendum del 93 della grande maggioranza degli elettori, poi fortemente limitata e in gran parte riassorbita dai partiti. Per necessità di sintesi ricorderò solo i titoli di alcune delle iniziative di riforma tentate per via referendaria: l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, l’abolizione della quota proporzionale nei sistemi elettorali della Camera e del Senato, l’abolizione del secondo turno nella elezione diretta dei sindaci, l’abolizione della norma che impediva la responsabilità civile dei magistrati, il passaggio nelle elezioni del CSM dal sistema proporzionale al sistema uninominale, la separazione delle carriere dei pubblici ministeri da quelle dei magistrati giudicanti. Di questa politica riformatrice fanno parte integrante le lotte per la liberalizzazione dell’economia e per la trasformazione del welfare e quelle ambientaliste. NdA.
L’antagonista radicale
Ho parlato fin qui dei contenuti e delle iniziative riformatrici che hanno fatto del Partito Radicale un forza di alternativa alle principali forze politiche del paese, di destra e di sinistra. Questa alternativa tuttavia si riscontra innanzitutto nel modo di concepire la organizzazione politica e nei mezzi prescelti per la sua azione politica. A differenza degli altri partiti italiani che hanno una impostazione ideologica e una organizzazione verticale, centralistica e disciplinare, il Partito Radicale ha una teoria della prassi laica e sperimentale e una organizzazione politica di tipo federale, aperta alla società civile, permeabile alle altre forze politiche: un partito di servizio fondato sulla libertà di associazione, su forme di democrazia diretta e sulle “doppie tessere”. Lo statuto del 1967, approvato al Congresso di Bologna quando eravamo poche centinaia di persone, più che un regolamento dei propri rapporti interni, fu concepito come una carta teorica alternativa sia al centralismo democratico del PCI sia al modello di partito fondato sulle correnti. Il consiglio federativo doveva essere, sull’esempio del partito laburista inglese, solo in parte espressione del congresso annuale convocato a data fissa perché in esso dovevano essere presenti con poteri non consultivi ma deliberativi i rappresentanti dei partiti regionali e dei movimenti federati. Anche se il Partito non riuscì mai a conseguire le dimensioni materiali che avrebbero potuto consentire la piena attuazione di quel progetto statutario, la sua organizzazione si è sempre ispirata a questi criteri. Negli anni ’70 al Partito Radicale facevano capo Lega degli obiettori di coscienza, Lega italiana per il divorzio, Lega per l’abolizione del Concordato, Movimento di Liberazione della Donna, CISA (Centro italiano per la sterilizzazione e l’aborto), FUORI, movimento nonviolento. Così come di quella che Pannella chiama “Galassia radicale” fanno parte oggi accanto al Partito Radicale nonviolento, il movimento Radicali Italiani, l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca, Nessuno tocchi Caino, Non c’è pace senza giustizia, l’associazione esperantista: un tipo di organizzazione che, oggi come ieri, in maniera elastica ed estremamente duttile si adatta agli sviluppi delle lotte politiche e si apre a chiunque abbia la capacità e la forza di proporre e promuovere nuovi obiettivi di riforma liberale e antiproibizionista. Per spiegare cosa intendo per partito federale, aperto alla società civile e per partito di servizio che può essere occupato dagli altri, mi spiegherò con alcuni esempi. Luca Coscioni era un ricercatore, un professore universitario, uno sportivo, aveva fatto una lista civica a Orvieto, era simpatizzante radicale ma non era un militante. Colpito da un grave malattia degenerativa (la SLA), giunge al movimento Radicali Italiani, si candida al comitato nazionale e viene eletto sulla forza di una proposta antiproibizionista: rimuovere gli ostacoli alla ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali. In pochi mesi, con lo slogan “dal corpo dei malati al cuore della politica”, nasce l’Associazione Luca Coscioni per la ricerca scientifica, dove confluiscono malati che rivendicano il loro diritto alla speranza, alla vita, a una assistenza che garantisca loro autonomia e libertà di espressione e di comunicazione, e con loro ricercatori e scienziati, bioeticisti laici. Nel giro di pochi mesi, in carrozzella, con la madre e con la moglie Maria Antonietta, Luca è divenuto un leader radicale, il leader di una lotta liberale, democratica e non violenta. Lo stesso è accaduto qualche tempo dopo con Piergiorgio Welby. Molti anni prima il Partito Radicale, con la Lega Italiana per il Divorzio (LID), era stato occupato da migliaia di fuori legge del matrimonio, di vedove bianche, figli illegittimi, famiglie di fatto. Era il partito di Pannella e dei radicali ma era anche il partito di Loris Fortuna, di Antonio Baslini, dei tanti di altri partiti nei quali, ieri come oggi, questi temi, questi obiettivi, sono preclusi o impediti perché hanno poco a che fare con il potere o sono di ostacolo ai compromessi di potere. L’altra caratteristica che ha connotato l’azione politica radicale è stata la scelta della nonviolenza, determinata dall’incontro con Aldo Capitini in Italia e con il pensiero e la storia politica di Gandhi. Alla base di questa scelta il rifiuto del principio secondo il quale il fine giustifica i mezzi e la convinzione che il cambiamento ottenuto con la violenza non possa che generare una società e uno Stato, un potere anch’essi violenti. La nonviolenza non è però un mero rifiuto della violenza, un ritrarsi nei confronti della violenza, è un mezzo di lotta che richiede a chi lo adotta di mettere in gioco la propria persona e la propria vita. Il nonviolento si rivolge al potere non per imporre il proprio punto di vista ma per chiedere il rispetto della legge, dalla quale esso trae la propria legittimità, quando essa sia violata o non rispettata. Satyagraha (Ricerca della verità), rispetto della parola data, adempimento degli obblighi previsti dalla legge sono il contenuto delle richieste che vengono sostenute con i digiuni e gli scioperi della fame e che possono giungere alle forme estreme dello sciopero della sete o della sospensione delle cure. Fra gli esempi recenti citerò solo quello dello sciopero della fame e della sete di Marco Pannella per ottenere la cessazione di uno scandaloso inadempimento da parte del Parlamento durato oltre un anno nell’elezione di un giudice costituzionale. Un’arma della nonviolenza è anche quella della disubbidienza civile contro la legge ingiusta: il nonviolento non si nasconde nel violare la legge ma sfida il potere ad applicare nei suoi confronti le pene previste per quella violazione, anche affrontando il carcere e il processo. Molte delle vittorie dei diritti civili sono state ottenute grazie alla disubbidienza civile. Adele Faccio, Emma Bonino, io stesso abbiamo affrontato il carcere per aver violato la legge sull’aborto, Roberto Cicciomessere per obiezione di coscienza al servizio militare, Marco Pannella ed Angiolo Bandinelli per la depenalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti. Ma la disubbidienza è stata praticata anche quando era pressoché certa la possibilità dell’insuccesso: lo stesso Pannella, Sergio Stanzani, Rita Bernardini, numerosi altri dirigenti e militanti radicali hanno affrontato il carcere, i processi e la perdita dell’elettorato passivo nelle elezioni regionali e locali per antiproibizionismo. Non è certo casuale che in un recente consiglio generale transnazionale del Partito Radicale Nonviolento, nel delineare le possibili soluzioni federaliste e democratiche di un’azione rivolta a creare le condizioni strutturali di una politica di pace, siano stati scelti come ideali punti di riferimento Gandhi e Martin Luther King, Kant e Popper.
L’alternativa radicale
In tutta la loro esistenza i radicali si sono battuti per una alternativa a quello che hanno sempre definito un regime, cioè un sistema sostanzialmente non democratico, certamente illiberale, non laico quando non addirittura clericale, in cui le norme dalla Costituzione repubblicana e le istituzioni dello Stato sono costantemente piegate agli interessi dei partiti. Questa situazione ha prodotto una cronica illegalità che si è diffusa in ogni parte del paese e ad ogni livello della vita pubblica (e che non risparmia la magistratura da cui dovrebbe dipendere il controllo della legalità), un enorme debito pubblico che schiaccia l’economia, una costante incapacità di governare i problemi e di realizzare le riforme. Per due volte, a metà degli anni settanta dopo il referendum del divorzio, e a metà degli anni 90, dopo tangentopoli, i radicali sono stati ad un passo dal determinare un profondo cambiamento democratico e liberale dell’ordinamento politico. In entrambi i casi, e con modalità assai diverse, la partitocrazia e la Corte Costituzionale, che ne è in gran parte espressione, sono riusciti ad impedire che quei cambiamenti, che riscontravano non solo nei sondaggi ma nel voto dei referendum il consenso della maggioranza del paese, giungessero a compimento. Non meraviglia che nei momenti di loro maggiore crisi i partiti di potere (ieri la DC e il PCI, oggi la coalizione berlusconiana e il partito democratico) abbiano sempre preferito precludere la strada alla opposizione democratica e nonviolenta radicale per favorire il successo di falsi antagonisti (dalla Lega a Di Pietro), portatori di politiche populiste speculari a quelle che pretendono di combattere. I radicali si trovano perciò in una situazione per più versi paradossale. Nati con l’intenzione dichiarata di potersi dissolvere presto in una diversa e più vasta organizzazione politica democratica, liberale, laica e socialista, sono ormai il più antico partito italiano in una situazione in cui tutti gli altri partiti, quando non sono scomparsi, sono stati costretti a cambiare veste e nome perché quelli precedenti non sono più utilizzabili o addirittura pronunciabili. E pur essendo ancora oggi espressione della cultura e degli orientamenti prevalenti della società italiana, come tutti i sondaggi ogni volta rivelano e confermano (sull’aborto come sull’eutanasia, sul testamento biologico come sui nuovi diritti civili ma anche sulla riforma dello Stato e sul sistema uninominale), si trovano a dover fare i conti con il sistematico tentativo di espulsione e di cancellazione dalla vita politica. Pagano il prezzo di non essere mai stati coinvolti negli scandali di regime. Pagano il prezzo di aver determinato fondamentali riforme laiche che hanno sconfitto per almeno un trentennio il clericalismo italiano e le classi dirigenti che anche da sinistra lo avevano accettato e subito. Pagano il prezzo di rappresentare e quasi incarnare una idea e un modo diversi di concepire la politica. E tuttavia, nonostante appaia assolutamente impari, sono costretti a raccogliere la sfida di dover assicurare, di fronte alla crisi che il mondo intero attraversa e che rischia di travolgere il nostro paese, oggi più che mai, anche in termini di governo, l’unica alternativa possibile di legalità e di giustizia, di riforma istituzionale e politica, economica e sociale, di libertà e di reale democrazia.
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C’è un’anomalia che non ci si deve stancare di segnalare: non c’è un radicale che sia stato arrestato, condannato, processato, indagato per reati contro la pubblica amministrazione. Non c’è radicale che viva in casa di enti a prezzi di favore. Non c’è radicale che abbia acquistato una casa di enti a prezzo di favore. Non c’è. Il tanto citato libro di Stella e di Rizzo sulla “Casta” ha un indice dei nomi cui corrisponde una sorta di associazione per delinquere. Che nessuno, ma proprio nessuno, abbia osservato che mancano i radicali in quell’elenco, la dice lunga; ma noi non dobbiamo stancarci di dirlo.
Valter Vecellio (12/01/09 NOTIZIE RADICALI)
OPUSCOLO SULL'8x1000:
"PURTROPPO NELLA STORIA È SEMPRE CAPITATO CHE LA CHIESA NON SIA STATA CAPACE DI ALLONTANARSI DA SOLA DAI BENI MATERIALI, MA CHE QUESTI LE SIANO STATI TOLTI DA ALTRI; E CIÒ, ALLA FINE, È STATO PER LEI LA SALVEZZA".
JOSEPH RATZINGER

Radical Party
Gay Pride di Mosca del 2007
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CORAGGIO LAICO - PIAZZA NAVONA, 12 MAGGIO 2007:
LINK VIDEO INTEGRALE
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Spot 2009
Congresso 2007: pazzi di libertà
Dossier TG2
Dossier TG2
Dossier TG2
Oriana Fallaci sui Radicali
Manifesti Radicali
Lista Bonino: spot elettorale
La Peste Italiana: c'è chi dice no!
Pannella e il Dalai Lama a Venezia

My Interests

I'd like to meet:

'La fantasia come necessità' di Marco Pannella: prefazione a "Underground a pugno chiuso" di Andrea Valcarenghi (1976)

Io amo (...) gli obiettori, i fuori-legge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione. Amo speranze antiche, come la donna e l'uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della Destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello Stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se "rivoluzionario". Credo alla parola che si ascolta e che si dice, ai racconti che ci si fa in cucina, a letto, per le strade, al lavoro, quando si vuol essere onesti ed essere davvero capiti, più che ai saggi o alle invettive, ai testi più o meno sacri ed alle ideologie. Credo sopra ad ogni altra cosa al dialogo, e non solo a quello "spirituale": alle carezze, agli amplessi, alla conoscenza come a fatti non necessariamente d'evasione o individualistici - e tanto più "privati" mi appaiono, tanto più pubblici e politici, quali sono, m'ingegno che siano riconosciuti (...)

La violenza dell'oppresso, certo, mi pare morale; la controviolenza "rivoluzionaria", l'odio ("maschio" o sartrianamente torbido che sia) dello sfruttato sono profondamente naturali, o tali, almeno, m'appaiono. Ma di morale non m'occupo, se non per difendere la concreta moralità di ciascuno, o il suo diritto ad affermarsi finché non si traduca in violenza contro altri; e quanto alla natura penso che compito della persona, dell'umano, sia non tanto quello di contemplarla o di descriverla quanto di trasformarla secondo le proprie speranze. Insomma, quel che vive, quel che è nuovo è sempre, in qualche misura, naturale. Perciò non m'interessa molto che la vostra violenza rivoluzionaria, il vostro fucile, siano probabilmente morali e naturali, mentre mi riguarda profondamente il fatto che siano armi suicide per chi speri ragionevolmente di poter edificare una società (un po' più) libertaria, di prefigurarla rivoluzionando se stesso, i propri meccanismi, il proprio ambiente e senza usar mezzi, metodi idee che rafforzano le ragioni stesse dell'avversario, la validità delle sue proposte politiche, per il mero piacere di abbatterlo, distruggerlo o possederlo nella sua fisicità.

La violenza è il campo privilegiato sul quale ogni minoranza al potere tenta di spostare la lotta degli sfruttati e della gente; ed è l'unico campo in cui può ragionevolmente sperare d'essere a lungo vincente. Alla lunga ogni fucile è nero, come ogni esercito ed ogni altra istituzionalizzazione della violenza, contro chiunque la si eserciti, o si dichiari di volerla usare (...)

basta con questa sinistra grande solo nei funerali, nelle commemorazioni, nelle proteste, nelle celebrazioni: tutta roba, anche questa, nera: basta con questa "rivoluzione" clausevitziana, con le sue tattriche e strategie, avanguardie e retroguardie, guerre di popolo e guerre contro il popolo, di violenza purificatrice e necessaria, di necessarie medaglie d'oro; la rivoluzione fucilocentrica o fucilo-cratica, o anche solo pugnocentrica o pugnocratica non è altro che il sistema che si reincarna e prosegue. Non solo il "Re" ma anche questa "Rivoluzione" vestita di potere e di violenza è nuda (...)

Quando vedo nell'ultimo numero di Re Nudo, ultima pagina, il "recupero" di un'Unità del 1943 con cui si invita ad ammazzare il fascista, dovunque capiti e lo si possa pescare, perché "bisogna estirpare le radici del male", ho voglia di darti dell'imbecille. Poi penso che tutti sono d'accordo con te, tranne noi radicali, e sto zitto, se non mi costringi, come ora, a parlare e a scrivere. Capisco le vostre ragioni: anche voi dovete dimostrare (a voi stessi?) che il PCI è oggi degenerato; che ieri era meglio d'oggi; che quando aveva armi e potere rivoluzionario era più maschio, più coraggioso, più duro e puro. Invece (come Partito, qui non parliamo dei "comunisti") era semmai, peggio, perfino molto peggio d'oggi. Comunque non era migliore sol perché teorizzava qua e là l'assassinio politico e popolare come atto di igiene e di garanzia contro "il male". Per chi l'ha ammazzato, certamente, Tritzky era peggio e più schifoso d'un fascista, e ancor più profonda radice del male. Ma, per voi che riesumate, ad onta dell'Unità di oggi, quella di ieri, credendo di legarvi così alle tradizioni di classe, popolari, operaie, non c'era davvero nulla di meglio da recuperare che questi concetti controriformistici, barbari, totalitari, contro le "radici del male"? (...)

Come noi radicali, voi renudisti sostenete che non esistono dei "perversi" ma dei "diversi". Nelle famiglie, nelle scuole, nelle fabbriche o negli uffici perfino i torturatori sono anch'essi, in primo luogo e generalmente, vittime. Tranne che per certi psicanalisti, uccidere il padre non è la soluzione, non aiuta a superare l'istituzione, la famiglia; o non basta, e non è comunque necessario.

Sosteniamo, insieme, che non esistono nelle carceri, negli ospedali, nei manicomi, nelle strade, sui marciapiedi, nei tuguri, nelle bidonville, dei "peggiori" ma, anche lì, dei "diversi", malgrado la miseria (che è terribile proprio perché ammazza, degrada, muta, fa degenerare: e se no, perché la combatteremmo tanto?), malgrado il lavoro che aliena (che rende "pazzi"), malgrado lo sfruttamento classista sia "secolare", quindi incida sull'ereditarietà. Sognamo - e v'è vigore e responsabilità nei nostri sogni - una società senza violenza e aggressività o in cui, almeno, deperiscano anziché ingigantirsi e esservi prodotte. Sosteniamo che è morale quel che tale appare a ciascuno. Lottiamo contro una "giustizia" istituzionale (e "popolare") che ovunque scambia diversità per perversione, dissenso per peccato
(...)

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Dicono di Marco Pannella e dei Radicali:

"Pannella ha insegnato a molti italiani non come si possa fare buon uso dei mezzi che la libertà eventualmente ci consente di usare, ma come si fa a diventare liberi, e soprattutto a meritarselo".

Umberto Eco

"Dove il potere nega, in forme palesi ma anche con mezzi occulti, la vera libertà, spuntano ogni tanto uomini ispirati come Andrej Sakharov e Marco Pannella che seguono la posizione spirituale più difficile che una vittima possa assumere di fronte al suo oppressore: il rifiuto passivo. Soli e inermi, essi parlano anche per noi".

Eugenio Montale

Conosco Marco Pannella, ho visto i Radicali Italiani e le loro idee, le loro azioni: mi sono piaciuti.

Jean-Paul Sartre

"Vedendo Pannella alla televisione, consumato e inscheletrito dal digiuno ... Si possono approvare o disapprovare le cause per cui si batte, però non si può non avere rispetto per i suoi metodi di lotta politica, il suo impegno persino corporale, il ricordo del contributo grande dato in passato dai Radicali all'evoluzione della società italiana".

Oreste del Buono

"I Radicali hanno il merito, malgré tout, di avere proposto e sostenuto alcune questioni cruciali che toccano i diritti di cittadinanza: questioni che sono riconoscibili se si prendono sul serio diritti (e doveri) derivanti dal nostro vivere civile, in società. Ora, pretendere sul serio i diritti dei cittadini e guardare alla nostra vita collettiva assumendo la prospettiva del 'cittadino' mi sembrano punti importanti per qualsiasi cultura politica intelligente che voglia essere progressista (...). I Radicali hanno contribuito vivacemente, in modi a volte da me non condivisi, a rendere la cultura progressista sensibile a questa prospettiva dei "diritti presi sul serio". Mi sembra una buona ragione perchè valga la pena di continuare a discutere con loro. E dato che per discutere con qualcuno è essenziale che questo qualcuno ci sia, la loro sopravvivenza come forza politica è auspicabile.

Salvatore Veca

"Si potrà essere o non essere d'accordo con le idee, le iniziative, gli atteggiamenti del Partito radicale, o di Marco Pannella. Ma se si vuole, non solo a parole, la libertà per tutti, e una democrazia non orchestrata dall'alto, ma emergente come regola, e istinto, e costume, della vita quotidiana e dalla volontà dei cittadini, che alla libertà vogliono e debbono "tenere le mani sopra", non si può non deplorare l'ostinato e caparbio rifiuto della RAI-TV di consentire a movimenti e partiti minori di far sentire la propria voce.

A. G. Garrone

"Il tuo ‘stile’ (cioè la tua espressione individuale nel suo complesso) manca totalmente di demagogia: primo vero scandalo della tua figura pubblica. Il tuo fine è ideale, e non strettamente politico, cioè pratico, tattico o strategico che sia. Scandalo. La tua ideologia (teorica) è la libertà intesa nel suo spettro più vasto. Altro scandalo…".

Goffredo Parise

"(...)comunque lo si giudichi, è almeno degno di rispetto".

Roberto Gervaso

"Siete gli unici copernicani della nostra politica tolemaica".

Elio Vittorini (1965)

"Sono attualmente detenuti in carceri militari 140 obiettori. Ogni anno vengono processati 4mila soldati. Spossato dai digiuni e malandato in salute, Pannella conserva una vitalità miracolosa. La vitalità di chi crede in ciò di cui vive. Un personaggio così, dicono gli amici, se non esistesse bisognerebbe inventarlo. I comunisti lo considerano con diffidenza, i cattolici con inquietudine, i fascisti lo disprezzano, gli extraparlamentari di sinistra lo discutono con rabbia, i qualunquisti lo giudicano un rompiscatole, i borghesi benpensanti un goliardo".

Alfonso Madeo (1972)

"Ecco le idee dell'uomo politico più picchiato, più processato e più innocente d'ltalia. Uomo-bambino scaltro e innocente, Pannella è realista e sognatore, mezzo Gandhi e mezzo Savonarola, un David che ha sfidato Golia senza disporre neppure di una fionda. È un leader privo di quei tratti sadico-autoritari che si ritrovano in ogni leader. Vive in una soffitta di via della Panetteria, in cui l'acqua piovana ha libero accesso. La sua parola è calda e intensa, sempre ancorata alla realtà quotidiana"

Costanzo Costantini (1973)

"Un curioso equivoco sussiste, Pannella è un libertario che difende la Costituzione, e invece lo scambiano per sovversivo. Unico particolare trascurato: attrae i giovani come facevano Ernesto Rossi, Mario Pannunzio e altri, e non li eccita alla contestazione del sistema ma al piacere della libertà. Pannella farebbe carte false per destare gli italiani da un lungo torpore".

Arrigo Benedetti (1974)

"È molto tempo ormai che lì i cattolici si sono dimenticati di essere cristiani. Il partito radicale e Pannella sono i reali vincitori del referendum. Ed è questo che non viene loro perdonato da nessuno. Anziché essere ricevuti e complimentati dal primo cittadino della Repubblica, in omaggio alla volontà del popolo italiano, Pannella e i suoi vengono ricusati come intoccabili. Certo il Vaticano e Fanfani, i grandi sconfitti del referendum, non potranno mai ammettere che Pannella semplicemente "esista".

Pier Paolo Pasolini (1974)

"La volgarità del realismo politico non trova alcun punto di connessione col candore di Pannella. Le sue sono richieste di garanzia di una normalissima vita democratica. Ma il disprezzo teologico lo circonda. Da una parte Berlinguer e il Comitato centrale del Pci, dall'altra i vecchi potenti democristiani. Neanche il Pci, l’altro sconfitto del referendum, potrà infatti mai ammettere la sua esistenza. Pannella viene dunque "abrogato" dalla coscienza e dalla vita pubblica italiana".

Pier Paolo Pasolini (1974)

"(...) pubblichiamo i suoi interventi con un senso vivo di solidarietà per la battaglia di fondo che egli conduce da anni rischiando di persona: la battaglia per i diritti civili (...). Su un punto Pannella ci trova del tutto d’accordo con lui: quando afferma che i “realisti” della politica ci stanno conducendo in malora (...). D’accordo, Pannella non è Gandhi; ma non sarebbe cosa più giusta, e alla fine anche più accorta, valorizzare le aspirazione e gli sforzi degli isolati, dei non-violenti, dei pazzi di libertà, invece che tentare di “abrogarli”? Del resto Pannella è diventato un “caso”, al di là della suggestione che il personaggio esercita, perché i partiti lo hanno lasciato vagare, praticamente solo, in uno spazio politico quale quello dei diritti civili, che si va rivelando - con sorpresa, forse, di chi non ha pensato ad occuparlo con impegno - vasto e importante ogni giorno di più".

Renato Ghiotto (1974)

"Pannella è un cittadino italiano che è riuscito a imporre a un parlamento recalcitrante l'approvazione di una legge, come quella sul divorzio, comune a tutti i Paesi civili; anche se è stato escluso dagli schermi della televisione, resta il vincitore morale del referendum, perché, con la sua tenacia e con la sua intransigenza, ha visto più lontano e più nel giusto di molti accorti e miopi uomini politici".

Nicola Matteucci (1974)

"Pannella non vincerà perché andrà in tv. Ha già vinto nel momento in cui ha mostrato che si ha diritto ad andare in tv, dimostrando che con la nonviolenza si può vincere senza far male agli altri".

Umberto Eco (1976)

"Alle donne [Pannella] fa un effetto speciale, è l’unico che lotta veramente, sinceramente per noi [donne ndr]".

Paola Fallaci (1976)

"Per dire la cosa in modo brutale, in un Paese di preti come l'Italia Marco Pannella è il più conseguente degli eretici. Né suoni ciò offesa per tutti coloro (ancora oggi probabilmente la maggioranza degli uomini e delle donne di tutto il mondo) i quali hanno sincero spirito di religione, e appartengono all'una o all'altra delle tante Chiese esistenti. S'intende solo constatare il fatto che nel nostro Paese, al di sopra di ogni divergenza di ideologie e di filosofie e di fedi, un idea è sopra tutte dominante: quella che il singolo individuo nulla o quasi può fare contro il corso delle cose, qualunque sia il supremo potere che lo governa (...). In mezzo a questo immenso esercito di marmotte, ognuna ferma in attesa che Qualcun Altro faccia qualcosa, o dica loro di far qualcosa, quale sorpresa se a un certo punto un impaziente si alza in piedi, e grida: "Basta! Preferisco magari sbagliare, ma fare, subito, almeno qualcosa da me?". Tale è oggi, in questo nostro sonnolente Paese, primo fra tutti Marco Pannella, degno continuatore di Aldo Capitini e di Dino Dolci; e, se talora sbagli, ci sono poi anche le volte in cui non si sbaglia affatto".

Guido Calogero (1978)

"Il radicalismo serve nella morale e nell'arte, più che in politica. Ma in Italia siamo arrivati al punto che la politica è tanto fuori dalla morale che il partito radicale deve occuparsene".

Leonardo Sciascia (1979)

"Pannella non ha vincoli ideologici e perciò non ha tabù: può plasmarsi e adattarsi alle circostanze, è capace di continue mutazioni. Pannella non concepisce le società come un'organizzazione di interessi contrapposti e quindi lancia messaggi captabili in tutti i ceti e in tutti gli altri partiti: egli si rivolge agli individui e non alle masse, Pannella non ha mai predicato palingenesi sociali, ma ha combattuto sempre battaglie parziali e su tempi pratici, e quindi ha sempre ottenuto qualcosa da sventolare come un successo contro l'arido settarismo dell'extrasinistra. E aggiungiamoci l'uso astuto di tecniche politico-pubblicitarie di stampo americano il gesto spettacolare l'abilità di produrre immagini, un linguaggio aggressivo e incisivo, una capacità di suggestione da guru indiano. Diciamo che Pannella è stato il primo politico a capire che la società italiana è più »americanizzata di quanto si creda: ha milioni di individui sradicati e privi di tradizioni e un assetto sociale non ancora stabilmente determinato".

Gaetano Scardocchia (1979)

"Uno dei maggiori protagonisti delle prossime elezioni sarà Marco Pannella, e non soltanto per i guadagni che gli si possono fin d’ora accreditare (...). Con Giannini, Pannella ha in comune il gesto e il gusto per la scena-madre, la capacità di cogliere immediatamente gli umori del pubblico, di colpirne la fantasia e solleticarne le emozioni. Ma Giannini si serviva di questi ingredienti per raccontare una protesta di retroguardia che disturbava senza inquietare perché senza sbocchi. Pannella coagula una protesta d’avanguardia che inquieta più di quanto disturbi perché di sbocchi ne ha, fin troppi. Anche come teatranti, la loro scuola è diversa: Giannini era uno Zacconi, Pannella, un Carmelo Bene.
Ma non fermiamoci a questo superficiale identikit. Se Pannella non fosse che un abile commediante, la sua commedia - alla velocità con cui oggi il pubblico divora i suoi mimi e giullari - sarebbe finito da un pezzo. Invece il suo indice di gradimento sale, nonostante la congiura del silenzio ordita contro di lui dai grandi mezzi d’informazione, e il successo cresce: un successo che le sue personali doti - atletica aitanza, calore di simpatia umana, oratoria torrentizia, polmoni a mantice, ubiquità, immaginazione, rapidità di riflessi, sfrontatezza da grande meretrice - servono a meraviglia, ma non bastano a spiegare.
Il fatto è che Pannella, intelligenza intuitiva cui la cultura (ne ha) serve solo da pezza d’appoggio, ha capito più cose di quante ne abbiano capite i politologi di professione. Ha capito anzitutto, e prima di chiunque altro, la crisi dei partiti. E infatti si è guardato bene di fondarne uno. Il suo si chiama “Movimento”, e lo è sul serio in quanto svincolato da ogni ancoraggio ideologico. Qualcuno dice che questa è la sua debolezza perché lo riduce a ricettacolo. Io credo che sia la sua forza perché in un’epoca di consumismo come questa, nulla si consuma più rapidamente delle idee: basta vedere in che condizioni son tutte ridotte. Pannella ne ha anticipato e ora ne sfrutta la nausea puntando invece su valori che non si consumano mai, i diritti umani e civili. Ma da quello smaccato e geniale bugiardo che è, arraffatore e arruffatore di parole, questa battaglia tipicamente liberale in difesa dello spazio vitale dell’individuo contro la plumbea pressione della massa, la conduce come rivolta di massa, e da sinistra.
Per capire Pannella (anch’io ci ho messo del tempo) bisogna rivoltarlo, come si faceva con le stoffe inglesi di una volta, il cui rovescio era meglio del diritto. Visto di faccia, è un brancaleone, uno sparafucile, un saccheggiatore di pollai, un gigionesco mattatore, capace di rubare il posto a un morto nella bara pur di mettersi al centro del funerale. Ma è anche lo sceriffo che, disarmato, va a sfidare il gangster nella sua tana. Anche noi abbiamo sempre sostenuto che i responabili delle fosse ardeatine, prima di Kappler e Reder, furono gli scellerati che, messe le bombe in via Rasella, nascosero la mano e mandarono a morte gli ostaggi. Ma Pannella è andato a dirlo in casa comunista, e ora reclama sulla pubblica piazza la liberazione di Hess dal carcere di Spandau e il trasferimento delle ceneri dei Savoia nel Pantheon. Dicono che il suo coraggio è solo spavalderia. Sarà. Ma intanto solo un pazzo punterebbe due soldi sulla pelle di Pannella, che gira senza scorta per vie e vicoli di Roma, a disposizione di qualsiasi pistola (e di pistole interessate al suo bersaglio debbono essercene parecchie).
(...) quattro cose dobbiamo dire , di questo anomalo personaggio. La prima è che Pannella è, appunto, un personaggio su una scena politica popolata quasi esclusivamente di comparse e coristi. La seconda è che i suoi digiuni sono autentici e le sue tasche autenticamente vuote. La terza è che, se domani ci sarà un regime - ipotesi che si fa sempre più possibile - , all’opposizione di questo regime ci saremo solo noi e Pannella, socio scomodo, ma di tutta affidanza. E infine dobbiamo riconoscere che fra noi e lui c’è , per così dire, un fatto di sangue. Anche se scatena la sua buriana da sinistra facendo d’ogni erba un fascio - aborto e bambini affamati, omosessuali e perseguitati politici - e chiama la sua gente “compagni”, ricordiamoci che Pannella è figlio nostro, non loro (...)

Indro Montanelli (1979)

"Pannella ha sovvertito i rituali della classe politica".

Sabino Acquaviva (1979)

"Brandendo la scimitarra lotta contro il riarmo e dichiara guerra alla guerra. Dà del fascista a chi dà del fascista a chi fascista non è, sgrana gli occhi, li punta come raggi laser su coloro che gli stanno di fronte. Quando scende in campo somiglia più a un seguace di Marte, dio della guerra, che d’Irene, dea della pace. Ogni tanto, è vero, sa anche sorridere e blandire. Le pupille allora gli s’edulcorano e inumidiscono come quelle d’un San Bernardo pronto a soccorrervi, la fiaschetta di cognac al collo. In un paese di marmotte, molluschi e camaleonti, un picchio come lui ci voleva. Che Dio lo benedica, lo perdoni, lo conservi".

Roberto Gervaso (1980)

"Ha un viso che emana una contagiosa letizia e un’irriverente folle ironia, capelli d’argento, sguardo allegro. Un tipo che non si direbbe allenato alla morte. Nel mio soggiorno assieme a lui entra una ventata d’aria fresca, un senso di forza e vitalità intensa. Sarà il famoso carisma?".

Antonio Cederna (1981)

"Pannella, ti voglio bene perché credi nella libertà. Hai dato una vera lezione di democrazia a tutta la classe politica italiana. Per questo meriti stima e simpatia. La stragrande maggioranza dei miei lettori detesta Pannella per lo scompiglio in cui ha gettato molte famiglie, arruolandone i figli nelle crociate più bislacche. Ma Dio sa quanti suoi giovani seguaci senza di lui sarebbero finiti nelle Br. Lui si diverte anche a farmi dispetti personali. Una delle ragioni per cui ha scelto come sua palestra piazza Navona è perché sa che lì abito io. E siccome conosce anche i miei orari, indice i suoi comizi proprio all’ora in cui vado a dormire. Una volta, in seguito a mie rimostranze più vivaci del solito, fece distribuire fra i suoi marmaglioni un volantino che diceva: ” Urlate a bassa voce: Montanelli riposa”… Se commette errori, come spessissimo gli capita, sono errori che odorano di bucato".

Indro Montanelli (1982)

"Pannella ha grandi idee, idee più forti delle nostre. Bisogna che circolino anche al nostro interno".

Claudio Martelli (1985)

"Pannella sbraita, ma mi fido. Quelli che sembrano suoi giochi sono quasi sempre linee di un disegno complessivo".

Flaminio Piccoli (1985)

"Da qualsiasi parte lo prendiate, un italiano così non lo trovate. Pannella è strano, diverso, anomalo. Può parlare venti ore di seguito, può fumare 200 sigarette al giorno, può digiunare tre mesi. Nessuno se lo augura come avversario in un contraddittorio. È il dirigente politico italiano più longevo, da 25 anni leader del proprio partito, ma non ha mai avuto incarichi di governo. Dice: “Tutte le volte che ho puntato alto, ho vinto”. Nessuno si alza per dirgli: “Vai a casa, non c’è più bisogno di te, le cose vanno bene cosi”. Gli dicono tutti che deve continuare. E allora Pannella non deluderà, spirito generoso. Farà l’istrione, l’esagerato, il provocatore, l’allucinato. Farà tutto quello che gli italiani vogliono che faccia. Per i prossimi cento giorni, poi si vedrà".

Enrico De Aglio (1986)

"Marco Pannella è il solo uomo politico italiano che costantemente dimostri di avere il senso del diritto, della legge, della giustizia. Ce ne saranno altri, ma senza volto e senza voce, immersi e sommersi in partiti la cui sensibilità ai problemi del diritto soltanto si manifesta quando qualche mandato di cattura raggiunge uomini del loro apparato: per il resto, se ne stanno in silenzio; e anzi certi arbìtri dell'amministrazione della giustizia, quando toccano altri, di altri partiti, li mettono in conto dell'alacre ed esatto agire dei giudici. Ciò fa parte della vecchia e fondamentale doppiezza della vita italiana: buono e giusto è quel che facciamo noi o di cui noi caviamo comunque vantaggio; cattivo, ingiusto e da punire è la stessa, identica azione fatta dagli altri. Doppiezza che si può far risalire al cattolicesimo controriformismo e che tirannie, fascismI e antifascismi (non soltanto il fascismo e l'antifascismo cronologicamente determinabili) hanno alimentato e perfezionato. Pannella, e le non molte persone che pensano e sentono come lui (e tra le quali mi onoro di stare), si trovano dunque ad assolvere un compito ben gravoso e difficoltoso: ricordare agli immemori l'esistenza del diritto e rivendicare tale esistenza di fronte ai giochi di potere che appunto nel vuoto del diritto, o nel suo stravolgimento, la politica italiana conduce. Si fa quello che si può: e per richiamare l'attenzione degli italiani su un così grave e pressante problema, Pannella è spesso costretto (lui che, a ben conoscerlo, è uomo di grande eleganza intellettuale) a delle "sorties" che appaiono a volte funambolesche e grossolane. Ma come si fa a vincere quella che si può considerare una congenita insensibilità al diritto degli italiani, se non attraverso la provocazione, l'insulto, lo spettacolo? Si suol dire - immagine retorica tra le tante che ci affliggono - che l'Italia è la "culla del diritto", quando evidentemente ne è la bara. Se un cittadino entra vivo in un ufficio di polizia e ne esce morto per le torture subite - come a Palermo è accaduto non molti mesi addietro - che tra gli uomini politici soltanto Pannella senta il dovere di partecipare ai funerali e di proclamare la grande, immane vergogna che ne viene allo Stato, è un fatto preoccupante. E non solo: per aver partecipato a quei funerali e per aver detto quello che ha detto, Pannella è stato rimproverato, accusato, considerato un eversore. Come non si capisce che l'entrare vivo (soltanto sospettato di un reato, non regolarmente imputato) in un ufficio di polizia e uscirne morto è un fatto incommensurabilmente più grave dell'esistenza stessa della mafia e che il delinquere da parte di coloro cui i cittadini e lo Stato affidano il compito di combattere il delinquere non è un incidente "tecnico" ma una catastrofe che destituisce lo Stato di dignità e credibilità? (...)"

Leonardo Sciascia (1987)

"Pannella era un profeta, oggi appare come un papa, come l’unico carismatico telepredicatore d’Italia".

Gianni Riotta (1987)

"Quando Pannella ci ha regalato Toni Negri e la Cicciolina mi chiedevo perché non gli spaccavo la testa. Forse ci ho rinunziato solo per la paura di non trovarci dentro nulla. Questo scellerato mi procura accessi di furore. Non posso dimenticare alcune battaglie per i diritti civili condotte con un coraggio e una pervicacia pari soltanto alla ciarlataneria con cui irrefrenabilmente li condisce. Ineguagliabile magliaro. Però, morto Altiero Spinelli, è lui il miglior conoscitore dei meccanismi comunitari. Quando affronta un problema, levarglielo di bocca è più difficile che levare un osso dai denti di un mastino. Quante volte avrei voluto mandarlo all’inferno. Ma è forse grazie a lui che salirò — se c’è — in paradiso".

Indro Montanelli (1988)

"Mi sembri un campione di Formula Uno costretto a correre su un’utilitaria".

Gianpaolo Pansa (1989)

"La sua non è confusione: è modernizzazione della politica".

Gad Lerner (1989)

"Pannella non è né un trasformista né un opportunista: instaura alleanze con gli altri, ma sempre sul proprio terreno".

Luigi Manconi (1989)

"È quanto mai utile per risollevare le sorti del Parlamento italiano". Il capo radicale ringrazia: "Scalfaro è il Pertini cattolico".

Oscar Luigi Scalfaro (1989)

"Incorrotto e incorruttibile, capace di disegni politici vasti e ispirati, oratore popolare di razza, è l’unica cosa nuova che abbia visto la luce a sinistra negli ultimi decenni. Per primo ha capito l’impalcatura classista antindividualista e antioccidentale della sinistra italiana, il nesso tra aspetti oscuri e degenerativi della storia repubblicana e la realtà vera, ma rimossa, del passato fascista e resistenziale della nazione. È l’unico politico di sinistra dotato di una indiscussa capacità legittimatrice".

Ernersto Galli della Loggia (1993)

"Sbeffeggiato per decenni come immondo giullare della politica, Pannella si sta prendendo molte rivincite: dà e toglie ossigeno ai governi, viene invocato ovunque e comunque come salvatore di qualcosa. Il suo pensiero economico ha, se non altro, il dono dell’eternità. Il leader radicale si propone infatti da sempre come la reincarnazione dei grandi uomini della Destra storica i quali - forse per il semplice fatto che non rubavano - stanno tornando di moda: Spaventa, Sella, Minghetti, tutte singolari figure di liberali dirigisti, ostili agli eccessi speculativi e immorali del capitalismo privato. Da loro la filiazione pannelliana prosegue attraverso Gobetti e i Rosselli, fino a Gaetano Salvemini ed Ernesto Rossi".

Giorgio Meletti (1993)

"[Pannella] allude a eroi liberaldemocratici che (purtroppo) pochi ricordano, brandisce una cultura “transnazionale” che (purtroppo) pochi capiscono. Non è più grifagno e incandescente, ha abbandonato l’invettiva esagerata e indiscriminata. Più che per le sue parole, piace per la sua presenza ormai rassicurante, per la sua storia civile di militante nonviolento, per la promessa che lotterà perché gli innocenti non finiscano in galera e perché i colpevoli siano trattati umanamente. Il che non è poco, ora che è aperta la stagione della caccia alle streghe".

Antonello Zinconi (1993)

"Confermo anche il fatto che Pannella è uno dei pochi politici italiani – forse il solo – che oggi possa rileggere quanto affermava negli anni Ottanta senza imbarazzi. Infatti è uno dei pochi politici italiani di lungo corso – forse il solo – che non sia costretto, per ragioni di opportunità e di convenienza, a indulgere nella pratica della rimozione del passato. Pratica nella quale è oggi impegnatissima l’intera classe politica della cosiddetta Seconda Repubblica".

Giorgio Galli (2007)

"Marco Pannella è il solo uomo politico italiano che costantemente dimostri di avere il senso del diritto, della legge, della giustizia. Ce ne saranno altri, ma senza volto e senza voce, immersi e sommersi in partiti la cui sensibilità ai problemi del diritto soltanto si manifesta quando qualche mandato di cattura raggiunge uomini del loro apparato: per il resto, se ne stanno in silenzio; e anzi certi arbìtri dell'amministrazione della giustizia, quando toccano altri, di altri partiti, li mettono in conto dell'alacre ed esatto agire dei giudici. Ciò fa parte della vecchia e fondamentale doppiezza della vita italiana: buono e giusto è quel che facciamo noi o di cui noi caviamo comunque vantaggio; cattivo, ingiusto e da punire è la stessa, identica azione fatta dagli altri. Doppiezza che si può far risalire al cattolicesimo controriformistico e che tirannie, fascismi e antifascismi (non soltanto il fascismo e l’'antifascismo cronologicamente determinabili) hanno alimentato e perfezionato. Pannella, e le non molte persone che pensano e sentono come lui (e tra le quali mi onoro di stare), si trovano dunque ad assolvere un compito ben gravoso e difficoltoso: ricordare agli immemori l'esistenza del diritto e rivendicare tale esistenza di fronte ai giochi di potere che appunto nel vuoto del diritto, o nel suo stravolgimento, la politica italiana conduce. Si fa quello che si può: e per richiamare l'attenzione degli italiani su un così grave e pressante problema, Pannella è spesso costretto (lui che, a ben conoscerlo, è uomo di grande eleganza intellettuale) a delle "sorties" che appaiono a volte funambolesche e grossolane. Ma come si fa a vincere quella che si può considerare una congenita insensibilità al diritto degli italiani, se non attraverso la provocazione, l'insulto, lo spettacolo?"

Leonardo Sciascia (1987)

"Trasparente il volto, asciugato dal digiuno; il maglione nero dilatava il contrasto con il chiarore delle chiome; luminosi gli occhi, medaglione al collo, labbra strette e mani giunte: un Pannella ieratico. L'angelo degli oppressi. Anche i toni erano quelli di un asceta: vibranti di commozione, talora anelanti al misticismo".

A. Pupazzi (1983)

"Non posso, e credo che nessuno debba dimenticare, il servigio che Pannella rese al paese e alla società negli anni di piombo, arruolando sotto le bandiere di una protesta pacifista e disarmata alcune falangi di giovani che senza di lui sarebbero finiti negli uffici reclutamento delle brigate rosse".

Indro Montanelli (1988)

"(...) era la prima volta che Pannella aspirava ad una poltrona, che fra l’altro non gli sarebbe andata affatto larga, perché, morto Altiero Spinelli, Pannella è probabilmente il parlamentare italiano che meglio conosce i meccanismi Comunitari. Non so se in quegli ambienti riscuota più successi o antipatie. Ma so che inosservato non passa mai. Anche perché quando affronta un problema, levarglielo di bocca è più difficile che levare l’osso dai denti di un mastino".

Indro Montanelli in occasione della candidatura di Pannella a Commissario CEE (1988)

"Ritengo che Pannella possa rappresentare benissimo il nostro paese nella Cee (...). Io ho per lui una simpatia per così dire anche fisica, per certe sue scelte e battaglie. Credo che, per il fatto di vivere in un partito un po' particolare, dove ha difficoltà a farsi ascoltare come vorrebbe, abbia assunto a volte qualche atteggiamento un po' istrionico. Ma credo che questa candidatura possa essere sostenuta con serenità".

Gianni Rivera in occasione della candidatura di Pannella a Commissario CEE (1988)

"Non in quanto critico d'arte, nè come membro di Comunione e Liberazione appoggio la candidatura di Pannella (...) ma perché Pannella rappresenta l'espressione più tipica della grande cultura cristiana protoevangelica. Pannella è un segno dei tempi, sì, Pannella è un segno dei tempi (...)"

Carmine Benincasa in occasione della candidatura di Pannella a Commissario CEE (1988)

"Aderisco a due mani, a quest'appello! Craxi non è d'accordo? Io davvero non capisco cosa stia succedendo nel Partito Socialista".

Maria Laura Rocca Terracini in occasione della candidatura di Pannella a Commissario CEE (1988)

"La nomina di Marco Pannella sarebbe una scelta di grande rilievo. Certo: c'erano anche altre candidature della sinistra, ma credo che questa sia rappresentativa di un movimento vasto, non solo delle forze politiche, ma dell'intera società civile".

Pietro Folena in occasione della candidatura di Pannella a Commissario CEE (1988)

"Pannella è in Italia il solo politico di lungo corso che abbia, su tutto, le carte in regola. (...) Perché mai allora Pannella, in 40 anni di attività politica da cui sono scaturite molte delle innovazioni più vantaggiose per la società italiana, è ancora il leader di un partitino in perenne rischio di scioglimento? La risposta più plausibile, a mio giudizio, si può esprimere con una metafora sportiva. Pannella è come un grande atleta, invincibile sulle lunghe distanze, ma debole sullo scatto. Fategli fare una maratona o una gara podistica di trenta chilometri e vincerà per distacco. Mettetelo in pista sui cento metri o sui duecento, e saranno in molti a batterlo. Purtroppo, di norma, la politica vive sui tempi brevi, e le gare che contano sono quelle di scatto. Ma viene il tempo delle emergenze, in cui le regole dell'Olimpiade politica devono per forza cambiare, e può arrivare il momento giusto per il maratoneta.Le doti che il mondo politico italiano - suo malgrado - riconosce a Pannella, fanno di lui un punto di riferimento cui, paradossalmente, sono via via tentati di aggrapparsi proprio quei partiti che annaspano sgomenti nelle acque più tempestose. Quando, nel 1989, il crollo mondiale del comunismo indusse Occhetto alla scelta, coraggiosa ma drammatica, di trasformare il Pci in un partito democratico nuovo, il primo degli esponenti della sinistra con cui prese contatto fu Pannella: e per qualche mese parve che l'esigua ma significativa pattuglia dei radicali avrebbe avuto l'opportunità di contribuire alla storica svolta. Poi non se ne fece niente. Forse Pannella chiese prezzi politici troppo alti, quando ancora Occhetto s'illudeva di operare il Grande Cambiamento senza pagare alcuno scotto alla storia".

Sergio Turone (1993)

"Pannella è uomo di formato, e non molla di un millimetro: cerco sempre di intrattenerlo sul piede che abbiamo nella fossa, il suo grosso piede e io nel mio piccolo, e lui non vuole sentirci. Ha ragione. Ma la questione che evoco qui, a principale spiegazione della attuale, e peraltro relativa, eccentricità dei radicali in Italia sta nel fatto sfortunato che manca loro qualcosa di cui pentirsi. Non hanno un passato criminale, e nemmeno tragicamente colpevole. Non un’ideologia e una pratica totalitaria, matrice di sterminii e tirannidi, nazismi, razzismi, fascismi, stalinismi, comunismi, sciovinismi, colonialismi, militarismi, sessismi, proibizionismi, corruzioni pubbliche e disonestà personali: niente. Il paradosso della società politica italiana sta nella investitura derivante da un passato compromettente di cui pentirsi e dal quale riconvertirsi a un presente riabilitato. (Sia detto senza ironia: io ne faccio parte, anzi). Bisogna essere stati stalinisti, o almeno comunisti cubani o cinesi, e fascisti e antisemiti, o democristiani e socialisti e imprenditori dall’ideologia più mite ma dalla finanza allegra: e da lì cambiarsi d’abito, e ripartire. I radicali, disgraziati!, niente (...). Adesso i radicali sono impegnati in due bazzecole essenziali: la costituzione di una Comunità delle democrazie (e della democrazia), che si affianchi alle Nazioni Unite e ne bilanci la zavorra antidemocratica; e il progetto degli Stati Uniti d’America e d’Europa. Il secondo è ancora più utopico della prima, non più utopico del Manifesto di Ventotene di Spinelli e Rossi che giustamente i radicali hanno tenuto per una propria magna charta, così come il loro auspicio di una Europa federale non ha certo il vento in poppa, ma è bello e sensato. Troppa gente sta invaghendosi dell’idea di una secessione europea dagli Stati Uniti –dagli Stati Uniti, non da questa o quella Amministrazione. La Comunità delle democrazie è assai più realistica, e lo sventurato andamento del mondo ne accresce ogni giorno la necessità. E’ difficile che si dia riforma dell’Onu senza quel complemento. Dunque, programmi da conoscere e sostenere, dando una mano ai radicali, superando la forte ripugnanza per un partito che, accidenti a lui, non ha niente da farsi perdonare.

Adriano Sofri (2003)

"E’ impossibile non cogliere nel lungo percorso di Pannella fino ai giorni nostri il seme pedagogico dello spingere alla discussione politica, in tutti i modi e per qualsiasi ragione. Nel caso di Chianciano la ragione più importante era evitare il silenzio".

Furio Colombo (2008)

"Di Marco Pannella ben conosco il disinteressato rigore nell'esigere il rispetto degli adempimenti costituzionali"

Giorgio Napolitano (2008)

"i radicali (...) sono gli unici liberali sopravvissuti come gruppo organizzato e rappresentativo a quello che fu il mondo politico del liberalismo italiano. Forse perché ebbero l'intuizione di saltare dalla nave del Pli quando, a metà degli anni '50, la videro inclinare verso l'inabissamento nel conservatorismo, e non aspettarono che esso si concludesse nei gorghi di Tangentopoli; e perché, con l'agile scialuppa che allora fondarono, percorsero le acque, sbarrate da campi minati e reti elettriche, del divorzio, della legalizzazione dell’aborto, dei nuovi diritti delle donne e di tanti altri "iloti". Ora i radicali hanno scoperto anche i vecchi e, in pieno baccanale giovanilistico (baccanale di chiacchiere, si capisce) hanno deciso di elaborare una legge per il lavoro ai settantenni. L'abbiamo letto sul Messaggero del 1 settembre, che descrive, con abbondanza di dati anagrafici e statistici, il partito "vecchio" che fa le cose giovani imponendole ai partiti "giovani" che non le fanno. Grazie, Marco".

Federico Orlando (2008)

"Colgo anzitutto nel richiamo al magistero morale, politico e civile di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi le ragioni ideali dell'impegno radicale per una societa' piu' giusta e piu' libera in una Europa forte e unita. L'ormai lunga storia dei radicali e' testimonianza di autentica passione civile: le tante battaglie in difesa dei diritti fondamentali condotte in questi decenni hanno dato un contributo peculiare alla modernizzazione della societa' italiana e all'ampliamento degli spazi di liberta' individuale e collettiva. Anche il richiamo al puntuale rispetto delle regole democratiche sancite dalla Costituzione repubblicana, che vede impegnati, oggi come ieri, autorevoli esponenti del movimento radicale, e' parte di una concezione rigorosa della competizione politica nella pluralita' delle voci e degli apporti".

Giorgio Napolitano (2008)

(...)fra cento anni, quando Marco Pannella uscirà di scena, qualcuno si lascerà andare alla nostalgia constatando e lamentando - purtroppo - l’assenza del leader radicale. Alcuni commentatori della politica italiana si chiederanno dove è finita l’eredità di Pannella, ma si renderanno presto conto che Marco non può avere eredi. Perché è un liberale autentico e sa che il futuro è in mano alle capacità di ciascun uomo e di ciascuna donna. Sa che ognuno deve essere libero di costruire il proprio percorso individuale in solitudine e che ciò non vuol dire farlo da soli. Ma insieme ad altri soli.
Fra cento anni, si sentiranno spesso frasi dei tipo: «Ah, se ci fosse Pannella!», «Ora sì che ci vorrebbe Pannella!», «Sì, va bene, ma quando c’era Pannella era tutta un’altra storia...». E allora, è meglio parlare subito, intervenire ora, scrivere oggi quel che c’è da scrivere. Senza correre il rischio di finire tra coloro che si sentiranno falsamente orfani e vivranno di falsi rimpianti per le cose che si sarebbero potute fare e non si sono fatte.
La storia civile e politica di Marco Pannella lo rendono, indiscutibilmente, uno dei padri nobili della democrazia, il più caparbio difensore dello stato di diritto, il più tenace difensore della libertà di religione, il più strenuo combattente per i diritti civili e per il riconoscimento dei diritti umani, il teorico e pratico della nonviolenza, l’unico scoglio in grado di arginare il mare della partitocrazia. Insomma, Pannella è un animale politico più unico che raro. E non ha eredi. Non li vuole. Giustamente.
Nel panorama europeo è considerato il continuatore del carisma e delle idee di Altiero Spinelli, è il più accreditato a dar voce al federalismo europeo di Ernesto Rossi e di Eugenio Colorni. Il suo pensiero liberale e laico mantiene intatta una prospettiva politica che da Luigi Einaudi arriva fino a Ugo La Malfa attraversando interamente i tanti "profeti disarmati" del secolo scorso. La sua indole socialista riunisce in sé l’azione e l’ingegno di uomini c o m e Gaetano Salvemini e i Rosselli, ma si rafforza anche del socialismo democratico di Giuseppe Saragat e del socialismo libertario di Loris Fortuna. Eppure, riesce a dare voce soprattutto ai senza nome, alle persone comuni, agli ultimi, ai diseredati, ai non garantiti. Alla democrazia.
In Marco, oggi più che mai, riecheggiano sia i toni classici e le invettive di Felice Cavallotti sia le profondità ideali di Ernesto Nathan. Non abbiamo altri leader con queste caratteristiche, con la medesima dignità politica e con la stessa autorevolezza. Pannella ha ancora lo sguardo rivolto in avanti, con lo stile e il profilo dei grandi uomini del passato ed è portatore sano di un percorso politico secolare. Laico.
Con tutti i suoi piccoli e grandi difetti, con tutte le sue eresie, con tutte quelle sue pazzie che continuano a scandalizzare, con il suo indubbio caratteraccio, Pannella è il solo uomo politico italiano che meriterebbe di assumere - a seguito delle dimissioni di Romano Prodi - la responsabilità di presiedere il Pd: per costruire davvero un Partito democratico sul modello americano. Proprio come il progetto della Rosa nel Pugno ha sempre delineato e chiarito. Ma ci vorrebbe l’onestà intellettuale dei più. Ci vorrebbero Pasolini, Sciascia e Montanelli a sostenere una tale candidatura. Oppure, in loro mancanza, di qualcuno che abbia il gusto di una saggia provocazione. Ora.

Pier Paolo Segneri (2009)

"Marco Pannella? (...) E' un uomo che sa combattere le battagli con lealtà, convinzione e passione. Non sempre magari si è d'accordo con lui, ma è un uomo che merita rispetto e che pone domande non solo legittime a noi credenti, domande che esigono risposte secondo il Vangelo, non latre risposte. Anche in questo Pannella è esigente, ma è anche provvidenziale".

Enzo Bianchi (2009)

"Il più assordante, dirompente, impossibile rompiscatole della storia italiana degli ultimi 50 anni. Se non ci fosse avremo dovuto inventarlo. Se non ci avesse spronati, provocati e presi a calci nel sedere, saremmo ancora un paese antico e retrogado. Ci ha insegnato ad essere liberi, a diventare migliori, a farci testimoni del nostro tempo (...). La sola invenzione di Radio Radicale gli vale qualunque riconoscimento da parte di ogni cittadino italiano. Solo un paese come il nostro può non avere ancora nominato senatore a vita un grande uomo come Marco Pannella. Che vergogna!"

Piero Calabrese (2009)

"Pannella è ancora oggi quello delle origini, cioè un acuto e originale animale politico che ha messo il proprio narcisismo al servizio della cultura del diritto e della legalità, rendendosi indisponibile a pratiche di governo che avrebbero potuto mettere in pericolo la propria autonomia e soprattutto avrebbero snaturato l'essenza ultima della sua azione che non è quella del politico di professione. La vita e la persona di Pannella rappresentano infatti la materializzazione storica, ma arriverei a dire persino fisica, di una risorsa scarsa, quella che prende il nome di checks and balance, cioè l'impalpabile ma imprescindibile meccanismo dei contrappesi al potere intesi come garanzie contro le smodate pretese della volontà della maggioranza. Da solo o con pochi altri temerari, Marco Pannella ha più volte rappresentato, offrendo se stesso, una ruota decisiva di tale meccanismo, barriera alle degenerazioni dell'ottusità, del qualunquismo, particolarmente abbondanti in questo paese, e che il fatto di avere origine da arroganze di partito o plebisciti elettorali le rende ancora più pericolose"

Fulvio Cammarano (2009)

"Se Marco non esistesse, bisognerebbe inventarlo"

Piero Ostellino (2009)

"Caro Marco, è assolutamente impensabile che qualcuno, neppure il sottoscritto che è da tempo un tuo estimatore e che proprio per questo si permette di criticarti su punti specifici, riesca a fare un bilancio di quanto di ottimo tu hai fatto per questo disastrato paese e per la sua, non migliore, società.
Da un lato, è chiaro che senza la tua ingombrantissima presenza, saremmo tutti peggiori, moderatamente più arretrati, certamente meno attenti ai diritti civili, alla loro conservazione, protezione, promozione. Dall'altro, sarebbe anche prematuro stilare un bilancio della tua intensa e densa attività. Non riesco ad immaginarti fermo, senza progettazione, pacificato. Le istituzioni, la società, i mass media sanno che debbono continuare a temerti. Li richiamerai ancora e sempre magari in maniera provocatoria, - ma per loro, il semplice rispetto delle regole è una provocazione-, a fare il loro dovere e ad accettare le loro responsabilità. No problem: per lo più evaderanno, a dimostrazione che di persone come te rimane assoluto bisogno".

Gianfranco Pasquino (2009)

"Marco Pannella è il fondamentalista della democrazia. In Italia, per difendere le regole, la Costituzione, si deve essere estremisti, e Pannella lo è visceralmente. Esagerato o esagitato? Quando la causa è legge, la giustizia è libertà, qualunque forma di lotta non violenta, gandhiana di esagerato ed estremo può avere solo il sacrificio personale. Pannella è un geniale profeta democratico che armato del proprio corpo non teme di affrontare qualunque degenerazione del potere. Pannella è lotta continua per la libertà. Ma Pannella non è profeta solo col genio e col corpo, ma anche con lo spirito. Pannella, visto soprattutto da New York, appare come il politico italiano più religioso perchè nelle sue forme e obiettivi di lotta è il più tendente a Dio. Se fosse nato 2000 anni fa, sarebbe stato considerato un profeta e la sua arma per liberare gli uomini dall'ingiustizia sarebbe stata il diretto appello all'amore e timore di Dio. da oltre mezzo secolo, lo strumento irriconosciuto da Pannella è l'amore e rispetto per la Democrazia, la religione dell'uomo moderno per poter tendere alla libertà, alla felicità, quindi alla salvezza dell'anima. Quando in TV su La7, grazie a internet, ho visto commentare da Pannella la morte-liberazione di Eluana Englaro negli istatnti che avveniva, con quella stessa frase detta da Wojtyla vicino alla morte, ecco che anche Pannella rivela quel "padre" universale a cui tutti, con strade diverse, tendiamo. Il Dio di Pannella è chiamato Democrazia e Libertà: questa sua continua tensione spirituale rende la sua missione politica in Italia e nel mondo, parte di un cammino invincibile e quindi immortale. (...) il suo genio fa parte di un percorso millenario di grandi uomini e donne che ci avvicinano a Dio nell'ottenere e difendere la libertà di tutti.
. Senatore a vita? Sarebbe una giusta e tardiva azione della Repubblica che, sarebbe oggi peggiore se non ci fosse stato Pannella. Ma anche senza i giusti e dovuti riconoscimenti ufficiali, il contributo di Pannella al suo Paese così come nell'intera umanità è e sarà sempre riconosciuto. Lo spirito della religione della libertà non ha bisogno di cariche per continuare la sua missione. Pannella, profeta di un Dio della democrazia, avrà sempre l'immortalità dell'anima giusta e libera".

Stefano Vaccara (2009)

"Definire Marco Pannella è impossibile perchè è un Proteo multiforme. Dall'Unuri al PD ha incarnato tante realtà diverse, dando ad esse la capacità di convincere una minoranza italiana significativa. Il suo tentativo mi pare quello di separare il laicismo dall'anticattolicesimo, ma di farne ugualmente una religione laica, una alternativa religiosa laica alla cultura cattolica del popolo italiano. Egli ha portato al laicismo italiano una dimensione religiosa sul tema della non violenza, il riferimento a Gandhi è la chiave fondamentale per comprenderlo. Verso il cattolicesimo ha avuto sempre l'atteggiamento di comprenderne le mosse e i problemi e di reinterpretarli. Ha usato contemporaneamente la similitudine e la differenza. Rappresenta una versione diversa del laicismo tradizionale che parlava solo in termini del rapporto tra Stato e Chiesa e ha cercato di tessere una religione dell'individuo diversa da quella della comunità. Con ciò ha creato una minoranza di individui motivati in modo religioso al culto della libertà individuale, assumendo come contenuto le varie minoranze che si sono succedute nelle sue scelte. Ha fatto di se stesso come individuo la personificazione della libertà individuale, è diventato individuo con la i maiuscola annullando l'individualità che egli suscitava con il suo messaggio. L'unica che gli ha resistito è Emma Bonino anche per il fatto di essere donna e di essergli simile di temperamento e di culto della persona. La società italiana lo ha accolto come personaggio che la sfidava ma non la provocava. L'unico modo di resistergli era quello di farne un caso individuale. Proprio quello che Pannella voleva. Ha voluto Marco Pannella creare qualcosa d'altro da se stesso, dall'individuo principe? Ha voluto lasciare un'eredità e un legato nella società italiana?".

Baget Bozzo (2009)

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