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Prillo

About Me

Fondamentalmente un asociale. Forse per timidezza. Oppure – com’è assai più probabile – a causa di una forma ormai cronica di disadattamento. Non è che non mi piacciano gli altri, è che fatico a comprenderli. Quali motivi, mi chiedo, spingono la quasi totalità delle persone che ho attorno ad annullarsi nei riti di massa, nelle mode orchestrate, nell’assuefazione totale alle stesse brutture? Perché nessuno dà più giudizi? Perché non si critica più nulla? Bulimia musicale che inzeppa gli i-pod fino a scoppiare, cinema ridotto a un videogame decerebrato, e, attenzione! – il libro del momento! Tutto bene? Tra l’altro - scusate, eh? - ma è perfettamente inutile che scriviate nel profilo che odiate la tv, con la tv siamo nati e cresciuti tutti, ragazzi, ormai l’abbiamo metabolizzata, e il risultato è proprio la totale alienazione a cui siamo ridotti. Dire di odiarla è un segno positivo – ammesso che sia vero – ma non cambia di molto le cose: tv o qualsiasi altro mezzo, quello che vi pare, siamo tutti dentro un totalitarismo mediatico ossessivo e manipolatore, e per di più non riusciamo a staccarcene, come il cinese dalla sua pipa d’oppio. Che poi la reazione a questo sia quella di autodistruggerci più o meno rapidamente non dovrebbe sorprendere, eppure quando qualcuno lo segnala di solito viene preso per un tetro guastafeste e cordialmente schizzato. Personalmente noto parecchia sofferenza psicologica in giro, danneggiamenti più o meno gravi a prima vista indistinguibili dietro una forsennata - e perciò considerata normalissima - attività lavorativa, o dietro una vita sentimentale disastrata – e anche quella, perciò, considerata normalissima – che incenerisce compulsivamente un rapporto dietro l’altro senza mai approdare a nulla di definitivo, di risolto, di stabile. Chimera, quest’ultima a cui da una parte si tende nevroticamente pur ritenendola invivibile: una prigione da cui evadere. In questa contraddizione da manicomio si consuma la giovinezza (massimo valore corrente) finché non ci accorgiamo che il tempo a disposizione è finito e tanti saluti: una nuova angoscia si sostituisce alla prima. Cambio di stagione! Divertente, vero? State abbandonando il mio profilo mandandomi mentalmente affanculo? Vi capisco. Se mi concedete qualche altro istante, però finisco di illustrarvi il pessimo soggetto che sono al di là di questa premessa, che lascia il tempo che trova. Sono convinto che un conformismo asfissiante domini il mondo dell’espressione più o meno artistica per cui evito accuratamente tutto quello che esce per essere voracemente consumato e finire ne dimenticatoio entro poche settimane. Non mi troverete mai con un libro di Baricco in mano, o infognato in una sala dove si proietta l’ultimo film coreano; non ho niente contro Baricco e i cineasti coreani, apprezzerò i lambiccati testi del primo e divorerò le sanguinose ed arcane opere dei secondi tra dieci anni, quando nessuno li cagherà più, e tutti si chiederanno come hanno potuto, un tempo, prenderli seriamente in considerazione. Vogliamo parlare della musica? Ma no, guarda, è meglio che non ne parliamo. A me piace moltissimo, però vogliamo dirlo o no che quella che dilaga ultimamente, fatti salvi qualche Radiohead, e altri due-tre disperati, si dimentica nell’attimo stesso in cui le radio smettono di strombazzarcela a tutte le ore? Tutto copiato, riciclato, clonato, niente di che… E che dire della maggior parte delle cosiddette passioni che scaldano il cuore delle masse (e anche delle elite illuminate)? A me non appassionano per niente. Tenetevi pure i megaraduni in piazza e allo stadio, i Jammin' Festival, le orge di droga, la disco, la techno, i rave, le love parade, i girotondini dei Parioli, i concertoni del primo maggio per diciottenni disoccupati organizzati da sindacati per ultrasettantenni pensionati, i wine-bar, i sushi bar, i risto-bar, i risto-esotici, lo spritz dei miei zebedei, i ragazzini alcolisti già a tredici anni, i viaggi dappertutto e sai checcefrega che inquiniamo, e infettiamo, e distruggiamo la qualunque cosa, lo sport dopato che si celebra nell’ipocrisia generale degli appassionati (dopati anche loro), gli applausi ai funerali, gli applausi in televisione, gli applausi a se stessi (Non ci credete? Osservate in tv!...), le premiazioni ai festival, i duemilaseicento festival del cinema più o meno corto, più o meno morto, i filmatini del deficiente su youtube, quello che fa il favore all’amico (e va in culo a te), la cultura enologica, i cellulari che suonano al cinema, in confessionale, nella morgue, mentre scali una parete di roccia, mentre dici che ti vuoi suicidare, mentre trombi - e qualcuno risponde pure! - i centri sociali dentro i quartieri fighetti a diecimila euro al metroquadro, la retorica italiana, il campanile italiano, il senso di colpa italiano, la criminalità organizzata italiana (l’unica cosa che in questo Paese si riesce a organizzare), il sarcasmo italiano (compreso il mio!), la faziosità italiana, il fanatismo italiano, il vivere-molto-al-di-sopra-dei-propri-mezzi italiano, la maleducazione italiana, il falso ambientalismo italiano, e... devo continuare? E’ vero, si: trovo questa vita assai difficile da sopportare; a partire dagli altri, che sono sempre troppo pieni di problemi, tra l'altro irrisolvibili. Chi scoppia di problemi ovviamente non ci pensa un secondo ai tuoi, morale: ognuno si cucca i suoi e questo – come potete ben capire – non aiuta granché l’afflato di fratellanza universale che tutti ci pervade. Quanto alle relazioni amorose… insomma, che volete che vi dica? Una sera mi capita di vedere alla tv la ragazza di un giovane calabrese trucidato dalla ‘ndrangheta. Cosa c’entra? Se avete un residuo di pazienza ci arrivo. Il ragazzo, dicevo, era stato ucciso per aver provato a mediare tra il padre della sua fidanzata e i criminali che l’avevano taglieggiato. In quella realtà dove vigono regole e gerarchie rigidissime l’intromissione non era piaciuta e qualcuno aveva provveduto a “punire” l’indisciplinato. La ragazza che parlava con voce spezzata alla telecamera era la tipica ragazza del Sud, si capiva che era nata e cresciuta nel culto della famiglia, e che mai avrebbe messo in discussione questo principio. L’ha fatto solo dopo che le avevano trucidato il ragazzo, perché – diceva, e questo era agghiacciante – aveva intuito che il mandante dell’omicidio era un parente, forse intenzionato a regolare i conti col padre. L’intervista era stata realizzata a Milano, dove lei ora vive dopo essere fuggita da quell’orrore assoluto e senza speranza. Mi aveva colpito soprattutto il modo in cui parlava del giovane ucciso: si erano conosciuti da piccoli, ha ricordato con emozione, erano stati fidanzati a lungo, e si stavano per sposare. Lei era già pronta ad essere la madre dei suoi figli e la sua collaboratrice nel negozio di famiglia. Quel ragazzo, ha detto ad un tratto, commossa, l’aveva sempre considerato “il suo futuro”. Il suo futuro. Capite? Come si fa a dire una cosa più bella della persona che ami? Sapete che significa quando dici di una persona che è “il tuo futuro”? Significa che gli dici che sei “te stesso”. Quanti te lo dicono? Quanti neanche lo pensano, oggi, della persona con cui stanno magari soltanto da poche ore? Che significa questo? Che l’amore sopravvive solo in certe realtà arcaiche, dominate da un opprimente potere familiare? E quella povera ragazza? Lo penserà ancora lì dov’è adesso, a Milano, che il bartender fighetto, pippato, e sciupafemmine per cui s’è presa la cotta potrebbe essere "il suo futuro"? Mentre mi pongo questa angosciosa domanda penso anche che, al presente, preferirei non esistere. Oppure, se proprio devo, vorrei tanto tornare a quell'epoca della vita dove, per vedermi, bisognava fare un'ecografia a mia madre.

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the Magnetic Fields- All my Little Words
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