1806-1856
L'INDIVIDUALISMO: MAX STIRNER
[Questo scritto è mio, se volete citarlo usatelo pure ma citate la fonte. Grazie]
L'individualismo è trovare un proprio posto nel mondo, è una risposta all'esigenza innata in ognuno di noi di far emergere il proprio Io all'interno delle relazioni che intraprendiamo nella nostra esistenza. Individualismo è rifuggire il tentativo di livellamento che la società impone per garantire a tutti un'esistenza democratica, e cercare di annullare ogni limite imposto al nostro istinto. O meglio, Individualismo è trovare se stessi sotto il velo di falsità che abbiamo imposto a noi stessi durante la vita.
Marx disse che "Stirner era semplicemente il più radicale ideologo della decaduta società borghese, in quanto società di individui isolati". Da qui parte il mio interesse mostrato verso questo pensatore, e si ricollega alla mia tesi esposta nella Prima Prova: la vita associata, la città , impone ai suoi abitanti una soppressione più o meno estesa delle libertà personale e delle manifestazioni dell'Io; nella società borghese ed in quella attuale, tutto ciò, in concomitanza alla crescita demografica, avviene in maniere sempre più manifesta e si manifesta nel disagio popolare. L'Individualismo è una delle reazioni: non potendo sottrarsi alla "pressione" esterna, esercitata dagli obblighi imposti dalla società , l'uomo sviluppa un culto della propria persona sempre maggiore, che trova la sua manifestazione tanto nell'arrivismo tipico del sogno americano, quanto nel superomismo D'annunziano, e nell'unione di egoisti di Stirner.
Max Stirner (pseudonimo di J. C. Schmidt) nasce nel 1806 in Germania. Orfano del padre a sei anni, vive con la madre, che mostra da sempre segni di follia. Nel 1834 chiede la cattedra per lingue antiche, filosofia e religione, ma gli viene negata perché mostra "uno spirito logico che, forzando i dati storici, filosofici e filologici, cerca di sottomettere tutto al proprio giudizio". Non verrai mai accettato neppure in seguito come insegnate e ripiegherà su vari lavori. Dopo due matrimoni infelici, nell'ottobre del 1844, pubblica "L'unico e la sua proprietà ": il libro viene dapprima sequestrato, poi nuovamente legalizzato, in quanto "le tesi erano troppo assurde per essere prese sul serio e risultare pericolose". Negli anni seguenti collabora con alcuni giornali, spesso per rispondere alle accuse rivolte alla sua opera. Nel 1856, dopo anni di galera per debiti, muore in solitudine
L'Unico è stato analizzato come testo raramente, ed il filosofo stesso è stato spesso dimenticato e mis-interpretato, condividendo così, in un primo periodo, la sorte di Nietzsche. L'opera non potrà mai scrollarsi di dosso il pesante giudizio di Engels e Marx, che avevano definito il suo pensiero "anarchico", e che bollarono l'opera come figlia della società borghese. Il suo pensiero è stato raccolto solo da movimenti filo-fascisti e filo-anarchici, che, sulla scorta della critica marxista, ne hanno stravolto il senso e strumentalizzato la visione del mondo.
"Ho posto la mia causa su nulla". Con questa frase si apre e si chiude l'opera; questa affermazione racchiude in se il senso ultimo, più profondo e più difficile da comprendere della filosofia stirneriana. In apertura, il filosofo ci offre un sunto dell'opera: chiede infatti "Quale mai dovrebbe essere la mia causa! Prima di tutto c'è la causa buona, poi quella di dio, quella dell'umanità , della verità , della bontà , della giustizia; quindi quella del mio popolo, del mio principe, della mia patria; infine la causa dello spirito e mille altre ancora. Solo la mia causa non deve essere mai la mia causa. <>". L'introduzione continua quindi con l'analisi del concetto di dio, che dice, essendo il più alto, " si occupa solo della sua causa; ma essendo dio tutto, tutto è la sua causa: […] egli soddisfa solo se stesso. La sua causa è una pura causa egoistica.". Utilizzando lo stesso approccio, egli attacca una per una le cause definite "giuste" dalla Società , rivelandone in ogni caso il lato egoistico: tutte la cause sono le cause comunque egoistiche. Così, "Io voglio pure riporre la mia causa su me stesso perché […] sono il nulla di tutto l'altro e per me sono il mio tutto, sono l'io come unico. […] Io creo tutto. […] Io sono per me stesso la mia causa, e non sono né buono, né cattivo. […] La mia causa è […] solo ciò che è mio, e non si tratta di una causa generale, ma – unica, come io sono unico. Non c'è niente al di sopra di me!".
Il libro, che si divide in due parti chiamate "Uomo" e "Io", espone nella prima perché antichi e contemporanei hanno sempre errato ponendo lo "Spirito" fuori sopra di se, nella seconda il riconoscimento dell'Io come ente supremo.
Stirner critica principalmente l'illusione di Feuerbach di aver risolto la teologia in antropologia: infatti, se accettiamo questa interpretazione dello Spirito, non ci appropriamo della possibilità di essere noi causa prima ed unica del mondo, ma spostiamo semplicemente il problema, trasferendo lo Spirito dai dio, dal cielo, all'umanità , continuando a far si che esso stia sempre fuori da noi. L'Io dell'Unico non si accontenta di una soluzione così parziale, e l'autore dimostra come le tesi sulla Spirito proprie del mondo antico, della società cristiana, ed infine di quella borghese siano soltanto ipocrisie per coprire l'egoismo insito nell'uomo, il quale vive in nell'ipocrisia poiché vorrebbe essere egoista, ma non può a causa della morale nella quale è cresciuto. L'Io deve considerare se stesso come unica base reale da cui partire e prendere (e dare) al mondo solo ciò di cui necessita, garantendo sempre a se stesso il benessere: è questa la tesi dell'"Io" e con queste l'autore chiude: "Nell'unico il proprietario ritorna al suo nulla creatore, dal quale è nato. Ogni essere sopra di me, sia dio, sia l'uomo, indebolisce il senso della mia unicità e impallidisce al sole di questa coscienza. Se io pongo la mia causa su me stesso, l'unico, esso poggia sul passeggero e mortale creatore di sé, il quale consuma se stesso, e io posso dire: Ho posto la mia causa su nulla".
I confronti con Nietzsche sono stati innumerevoli, e il filosofo di Röcken ha per molti studiosi, risentito delle idee stirneriane. Una delle differenze più rilevanti si ritrova nella concezione della morale: se Stirner si scaglia pesantemente contro la morale inculcata agli uomini da sempre, impedendo loro di sviluppare un'idea persona sul significato delle azioni, ed impedendo pure di sviluppare completamente il proprio ego, Nietzsche pone invece la morale come invenzione di coloro che hanno "detto no alla vita " per imbrigliare i forti.
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