english version edited by Cristina Murroni
CLARA MURTAS
My song, ancient and millenary
At the beginning of the ’70ies, I was happy to move to Rome and overcome the constraints of my loved-hated island. But wherever I was, I soon began to look for “Sardinias†everywhere. At the time, everything for me, sooner or later, was referable to my Island: a rock, a glimpse of a wall, a face, the shape of an eye. For this land is a myth more than a place. A sort of re-occurring homesickness, a vague dream of which we Sardinians try to make some sense. And even now, that I am here again, in Cagliari, I am still looking for some traces of those myths that our ancestors, “sos mannosâ€, keep on whispering among the words and notes of our traditional song. When I look at a sacred well, its bottom reflecting the moon of ancient water cults, when I venture into the darkness of a nuraghe built of millenary stones, I feel and sense that mysterious past in the same way I do when I recall the notes of an ancient anninnia (lullaby), or an attidu (funeral song), or the magic words of a brebu (exorcism). Notes that these myths hide and reveal, at the same time. When I discovered Sa paristoria de Maria Giusta (the history of Maria Giusta), I was as excited as an archaeologist removing the seals of a major tomb. Because the legend of Maria Giusta comes from the time when the Gods travelled undisturbed in the Mediterranean sea, the time when s’istrale a duos filos (two-edged axe) was used in water cults to exorcise droughts. So between strokes of an axe that makes golden hair fairies and doves’ hearts appear, between wells where one drinks without a pail and forgets everything, like in the springs of Mnemosine, are voices coming from astral distances, singing the sacrifice of Maria Giusta’s life that makes water spring out. We must find the meaning of this myth and interpret its symbols. But this is the work of the anthropologists. My own work has another reason: her story, passing through my voice, will go from voice to voice like in the old times. Who knows for how long now, with televisions making so much noise…
CLARA MURTAS
“il mio canto, antico di millenniâ€
All’inizio degli anni ‘70, mi trasferii a Roma superando felicemente i limiti dell’amata-odiata isola. Cominciai subito, però, a cercare “Sardegne†ovunque arrivassi. Allora tutto per me, prima o poi, era riconducibile all’isola: una roccia, uno scorcio di muro, un viso, un taglio d’occhi. Perché questa terra è un mito più che un luogo. Una sorta di nostalgia riaffiorante, un sogno indistinto di cui noi sardi cerchiamo i motivi e i significati. E anche ora che sono di nuovo qui, a Cagliari, ancora sto cercando le tracce di quei miti che sos mannos, gli antenati continuano a sussurrarci tra le note e le parole dei canti tradizionali. Mi succede così, alla vista dei pozzi sacri nel cui fondo si specchia la luna degli antichi culti delle acque, o entrando nel buio di un nuraghe dai macigni millenari, di percepire il senso tangibile di quel misterioso passato, allo stesso modo rivisitando le note di una antica anninnia (ninna nanna), di un attitidu (canto funebre), o le parole magiche di un brebu (scongiuro). Nenie che quegli stessi miti velano e svelano nello stesso tempo. Quando scoprii Sa paristoria de Maria Giusta, la mia eccitazione fu pari a quella che gli archeologi provano quando riescono a rompere i sigilli di una importante sepoltura. Perché la leggenda di Maria Giusta viene dal tempo in cui nel Mediterraneo gli Dei viaggiavano indisturbati, dal tempo in cui s’Istrale a duos filos, l’ascia bipenne, veniva usata nei culti delle acque per scongiurare la siccità . Così tra colpi d’ascia che fanno apparire fate dai capelli d’oro e cuori di colomba, pozzi dove si beve senza secchio e poi ci si dimentica di tutto, come alla fonte di Mnemosine, voci giungono da lontananze astrali, ecco ancora cantato il sacrificio volontario della vita di Maria Giusta che fa scaturire l’acqua. Il significato di quel mito va scandagliato, i simboli interpretati. Questo il compito degli antropologi. Il mio lavoro ha un altro senso: la sua storia, passando per la mia voce, andrà di voce in voce come un tempo. Chissà per quanto tempo, con le televisioni che fanno tanto rumore…..