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世界ã®ä¸å¿ƒã§ã‚¢ã‚¤ã‚’å«ã‚“ã ã‘ã‚‚ã® - 瞬間ã€å¿ƒã€é‡ã㦠- 心ã®ã‹ãŸã¡ 人ã®ã‹ãŸã¡ - 終ã‚る世界 - 最後ã®ã‚·è€… - ã›ã‚ã¦ã€äººé–“らã—ã
1991:Agency is a newborn booking/management agency based in Italy but working europe wide. 1991 Agency is born with the intent of promoting good underground music: the 70's, the 90's, love and rage.
bisognerebbe vivere fuori dalle passioni, oltre i sentimenti, nell'armonia che c'è nell'opera d'arte riuscita, in quell'ordine incantato... Dovremmo riuscire ad amarci tanto... da vivere fuori dal tempo, distaccati...
- se tu ti avvicinassi a me -
Saggio sul funzionamento dell'organo cardiaco
Quando ci si innamora, ci si innamora in due organi del nostro corpo: prima si innamora il cuore, poi si innamora il cervello, prima il sentimento, poi l'intelletto. La parte A e la parte B. Vengono dunque prima l'attrazione, l'intontimento, il desiderio e la passione, poi, ci si abitua all'idea di coppia, si crea la relazione attraverso l'intelletto, si impara a convivere con il concetto stesso di relazione. Parti completamente differenti che convergono con il tempo.
Quando la relazione finisce la parte B si svuota. E' possibile che non ci si renda nemmeno conto di questo passaggio, accade ed è finita, proprio come è iniziata. Accade.
Il desiderio di troncare la relazione è/e parte dal cervello, nonostante il cuore sia ancora pieno d'amore > insieme dei ricordi, sentimenti e momenti vissuti da innamorato.
Non si svuota mai prima il cuore. Neanche se entra in campo la variabile "Abitudine", intesa qui come momento prolungato nel tempo dove si trascina avanti la relazione nonostante lo svuotamento della parte A, la fine dell'amore dettata dall'intelletto.
A ritroso, questa fine parte dal cervello, che si prosciuga dell'idea e ne resta indenne. Lo sforzo è lasciato al cuore, che soffrendolo fisicamente si riperquote anche mentalmente.
il cuore non ha quella che possiamo definire come "valvola di svuotamento": si svuota dell'amore (definizione precedente) mano a mano che si vive ancora: le nuove situazioni così sostituiscono i sentimenti passati, gradualmente.
Gradualmente nuove cose vanno a sostituire la parte Z, poi la parte Y ed infine la parte X. Come è impossibile omettere, rimane solo la parte denominata "infinito" del nostro cuore ed è qui che sta il discorso più affascinante di questo stupido trattato.
La parte infinito è l'ultima puntina rimanente del nostro cuore. Nonostante sia spazialmente piccolissima la sua capienza è appunto infinito. In infinito si addensano solo i ricordi più belli di tutti i nostri amori (anche in formato amicizie/paesaggi/case/familiari, tutti sentimenti che occupano un sacco di spazio), che definiremo "speciali".
Tutti vanno a finire in infinito, dove navigano assieme trascendendo l'eternità .
Può capitare - a seconda del contesto in cui si ritrovi la persona - che questi "speciali" schizzino via da infinito per arrivare di colpo al cervello. Questo può capitare ascoltando musica, ricordando la tua infanzia, o anche a caso, gli speciali possono riaffiorare in superfice anche con casualità ; molti esperti sostengono che abbiano addirittura volontà propria e libertà di decisione. Nel momento esatto in cui passano dal cervello è proprio quel momento in cui il corpo si blocca, si smette di parlare, e si rientra completamente nel mondo di quello speciale, che in una frazione di milionesimo di secondo ha già invaso completamente tutto il nostro cervello.
Il passo successivo dello speciale è ritornare all'umanità , ovvero trasformarsi da pensiero, da passagio neuronale, a parte viva del nostro corpo. E lo fa tornando al nostro unico e vero elemento, l'acqua salata: passando attraverso l'occhio si trasforma in lacrima.
Ma non si tratta mai di sofferenza, nonostante il pianto. Lo speciale si fa lacrima per scendere dalle tue guance ed accarezzarti il viso, la carezza, il conforto. Per ricordarti che gli speciali sono sempre presenti in infinito, e ci rimarranno fino al giorno della tua morte materiale, lasciando il corpo molle come anima, trascendendo il tempo, trascendendo l'infinito (inteso come tempo).
- dicasi ghiaia -
A vederti ora questo non posso più farlo. Ma quando ti ho visto la prima volta eri così piccola che potevo portarti via con me.
Portare il grembiule era inutile: riuscivo a sporcarmi, sia le mani che i visteti sotto, sempre e comunque. La maestra non era la mamma. Gli altri bambini erano già degli esseri sociali, abituati a scontrarsi per poi confrontarsi, e parlo di quel confronto fisico che parte dal “ma tu hai un nasoâ€, “ne ho uno anche ioâ€, “si, ma il tuo è diversoâ€, “tocchiamoci le maniâ€. Io non lo facevo, io avevo già il mio mondo, e il confronto lo cercavo con me stesso contestualizzato con tutta la natura che mi circondava, quando ero piccolo. Tutti i miei giochi partivano dalla mia immaginazione, non da un altro bambino con il pallone. Io sono stato il numero 10 che trascinava i compagni al pareggio, per poi segnare quello stupendo gol del 2 a 1, proprio al novantesimo, quando nessuno ormai ci sperava più. E la mettevo al 7. Io sono stato uno spadaccino abilissimo, e le mie due spade erano temute e rispettate. Io ho guidato l’esercito di bambini armati di bastone del mio paese, contro tutti i paesi rivali, e la ragazzina più bella, mi amava.
A scuola, quando indossavo il grembiule, non ero niente di tutto questo. I miei compagni erano cannibali e spietati. Non mi ridavano i miei giochi fino a che non erano sazi delle mie lacrime, della mia umiliazione. Io mi inginocchiavo, pregandoli. La maestra mi obbligava ad imparare, e lo faceva senza mai prendermi in braccio per gratificarmi. Se sbagliavo, mi giudicava con la penna rossa. Mia mamma invece, mi coccolava. Questa assurda pretesa delle maestre, insegnare senza tenerezza, che sporca società . Valutazioni in numeri e non baci sulle guance.
La campanella era il mio risveglio: correvo su quel pulmino giallo che mi riportava al mio sole, alla mia ghiaia, alle mie pozzanghere ed al pane vino e zucchero che mi preparava mia nonna.
Quel giorno che ti ho incontrata, quel giorno no.
Ero seduto sull’ultima fila del pulmino, e ho contato quei lunghissimi secondi di cui l’autista si è servito per girarsi verso di me. In un dialetto che ora non so più parlare, mi disse:
- quando sono passato dal podere dei Terzi stamattina, c’era il tuo cane in mezzo alla strada, morto spiaccicato.
Cotanta delicatezza avrebbe rotto i nervi anche ai bulletti tutti cattiverie e filmati con il telefonino che bazzicano ora per queste scuole di oggi. Figurarsi la reazione, di un boccino come me.
Adesso, le delusioni che mi avrebbero piegato con la terra alle ginocchia una volta, mi lasciano silenzioso e razionale; so darmi la spiegazione in fretta, senza avere più il tempo per piangere.
Quel giorno, ho pianto ed ho urlato. Senza darmi tregua, per finire tutte le lacrime che avevo in corpo, per poi cadere a terra stremato da quel dolore.
Quel giorno, dopo diverse ore, la ghiaia riempiva i miei sandali e non era la prima volta che ero stufo delle mie lacrime. Mi capitava sempre: piangevo così tanto che dopo qualche ora non ne avevo più.
Appoggiato sul muretto, quello all'ombra del salice, mi dondolavo,mentre il mio broncio osservava quei pollici neri tra la pelle dei sandali, pensieri che mi distraevano in continuazione. E mi sentivo in colpa da distratto, perché io volevo pensare al mio male.
Mi hai preso per mano e mi hai detto:
- adesso vieni
io, con la reticenza dei miei pochi anni, e l'imbarazzo di essere trascinato per mano da una bimba più piccola, continuavo con le mie bizze.
-non voglio, non voglio
Quel giorno mi hai trascinato in quel sentierino, uno di quelli che faceva sempre mio nonno per arrivare a casa dei vicini senza pestare il grano. Quel profumo che ricordo tanto.
Con insistenza mi parlavi, e mi facevi sentire tranquillo. Non ascoltavo quasi la tua voce stridula, piccola peste cocciuta, ascoltavo solo il tuo suono.
Ripetevi in continuazione:
-ma mi ami? mi ami?
L'insistenza di mia nonna nel chiamarmi forte, ha seppellito nella mia memoria quelle risposte da bambino. Sappi, che se mai avessi avuto abbastanza coscienza, ti avrei detto senza esitare:
- in questo momento, dove mi hai isolato e lasciato in questo silenzio, circondati dal mio grano tanto alto da nasconderci, e oltre questo giallo, con sopra solo questo cielo pieno di nuvole d'estate… in questo momento io ti amo con tutto me stesso.
[...]
Ora che ti ho incontrato qui per caso, ho notato che hai imparato ad avere due sorrisi. Ma verrà fuori quello che ricordo io, quello vero che ti accende gli occhi, quello che mostra come sei veramente.
Sei veramente un sorriso.
Noterai prima la mia camicia sporca di vino, o quello che era il tuo bambino, a questo tavolo?
- tenero amore splendido -
Se sono le 4, se balli ai giardini margherita i Sud Sound System, se hai finito i soldi per bere, se ti rimangono solo le sigarette, se poi ne scicchi una sul braccio ad una tipa che poi si incazza, allora molli. Ti apparti da solo e ti siedi, tanto prima o poi passerà un tram. Ma se poi fumi a testa bassa e te la trovi davanti? Lei.
Lei si ferma a parlare con te portando in continuazione i suoi lisci capelli lunghi in avanti, perché si sta esponendo in qualche modo, e parla, e tu non dici una parola. Quegli occhi, quell'orecchino sul labbro. Renditi pure conto che ancora non gli hai detto un cazzo, neanche una misera parola, neanche un "hey". Me ne sono reso conto, e allora gliel'ho detto:
- guarda io non parlo, ma tu non smettere di parlare un attimo, ti prego.
E lei, lei ti è lì sul petto. Chiude gli occhi e ti dice:
- portami dov'è profondo il mare. Voglio nuotare dove non si tocca, voglio essere sul cielo del mondo sommerso.
Qui non devi esitare un attimo a parlare:
- sai, questa è la mia idea di oceano Pacifico. dove l'hai sentita, quando te l'ho già detta, quale parte vile del mio cuore che hai raccolto per terra ti ha svelato questo? E quel pezzo di carne e sangue dove lo hai trovato?
Lei, lei ti è ancora sul petto; i suoi occhi non sono aperti. Te lo sbatte in faccia:
- anche tu hai un cuore, posso sentirlo, non lamentarti di non averlo.
Parole così splendide che sembrano dette in un altra lingua. Che non sei più lì ora lo hai capito. La prima passeggiata nello spazio, il primo capire il silenzio del vuoto. Di quelle parole che mi sussurravi all'orecchio io lo giuro, non ne ho colta neanche una. Ma ti prego continua a sussurrare, io ti prego, non ti fermare. E quando hai osato dirmi:
- sei timido
Tu l'avresti mangiata a morte dalla rabbia. Con due parole sei riuscita a riassumermi. Con due parole hai succhiato via tutto il mio fiato e mi hai lasciato tra le tue braccia così nudo, così bambino. Così felice.
Adesso sono con gli occhi sui suoi, quelli di lei, lei. E glielo dico.
- Guarda che io ti sotterro! Io ti nascondo sottoterra, tu dormitela, vedila pure come una sorta di letargo. Poi ucciderò ogni essere vivente sulla terra, brucerò ogni paesaggio, oscurerò il cielo e spegnerò le stelle per fare in modo che, quando poi verrò a dissotterrarti
tu possa avere occhi solo per me.
Tutto questo non è mai successo, Laura. E non capisco come così con poche parole ho riassunto anni di sensazioni, giorno per giorno, per giorno.