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Il trasferimento papale ad Avignone favorì fino a tutto il Quattrocento il proliferare in tutta la regione di Signorie ad opera delle più prestigiose famiglie umbre.
E con le Signorie fiorì anche il costume signorile improntato a divertimenti e agli splendidi usi conviviali testimoniati dal Saporetto, opera in versi di Simone Prudenziani, cittadino di Orvieto che ebbe qualche parte nella vita pubblica della città tra il 1387 e il 1440. Alcuni dei suoi sonetti ci forniscono una precisa documentazione su singole vivande - minestre, carni domestiche e selvagge, confetture dolci o aromatiche, conserve, composte e vini di varie qualità - e sull'ordine delle portate.
Vi si parla ad esempio di spognosa, cioè di spongata ( spuma di zucchero), di marsapan (torta di marzapane); di fasciani (fagiani), di ventricchi (interiora), di petroselli (prezzemolo); di tortelli in sentella, di bramanger, biancomangiare di cui riportiamo la più antica ricetta per cucinare con questa salsa i petti di pollo (o in Quaresima i filetti di pesce). Il biancomangiare si otteneva macinando il riso, passandolo al setaccio e facendolo poi bollire con latte di pecora o di capra: in questa salsa si immergevano i petti di pollo (o i filetti di pesce) sfilati con zucchero e lardo fritto, dopo aver fatto bollire il tutto lentamente; prima di servirli si cospargevano di altro zucchero e altro lardo fritto, talvolta anche con mandorle fritte nel lardo e zenzero bianco tagliato fine. Ma il Prudenziani spazia nei suoi versi in una grande quantità di cibi che dimostravano la ricchezza della cucina signorile di questo secolo non priva di stranezze, se egli suggerisce di offrire, ad esempio, ali e piedi di uccelli in insalata; le lepri e i caprioli li consiglia in salsa dolceforte e la lonza di maiale messa sotto sale (sommata).
Altra testimonianza letteraria è quella che ci fornisce Franco Sacchetti che nella novella centosessantanove afferma che i perugini sono famosi per essere "MAGNALASCHE", cioè ghiotti degli squisiti fritti di lasche o di lattarino provenienti dalla pesca fatta nel lago Trasimeno.
In questi secoli fiorì anche la tradizione dolciaria: ricordiamo le squisite «finocchiate perugine» di zucchero e pinoli, gli «ossi di morto» (o stinchetti), la «ciaramicola», impastata con alchermes e cosparsa di piccoli confetti, le «fave dolci», il «torciglione» di pasta di mandorle a forma di serpente, il «torcolo» fatto con anice e canditi, il «brustengolo» una sorta di polenta ruvida con mele tritate, pinoli, noci, bucce di limone e zucchero. Molti di questi dolci si possono gustare ancora oggi.
Accanto a tante leccornie vi era naturalmente la cucina dei più, di chi viveva lontano dalle corti e si nutriva molto parcamente di ortaggi, di frittate, legumi, farro e orzo, alimenti che sono ancora presenti con una grande varietà di preparazioni nell'arte culinaria umbra costituita nel quotidiano anche ai nostri tempi di cibi semplici, gustosi, molto accurate, frutto di preparazioni.