Un pettirosso da combattimento
"Eccomi sul lido armoricano. Che le città si accendano nella sera. La mia giornata è finita; abbandono l'Europa. L'aria marina mi brucerà i polmoni; i climi sperduti mi abbronzeranno. Nuotare, pestare l'erba, andare a caccia, fumare soprattutto; bere liquori forti come un metallo bollente - come facevano quei cari antenati attorno ai fuochi.Tornerò, membra di ferro, pelle cupa, occhio furente: dalla mia maschera mi giudicheranno di razza forte. Avrò dell'oro: sarò ozioso e brutale. Le donne si prendono cura di questi infermi feroci. Sarò immaschiato negli affari politici. Salvo.
Adesso sono maledetto, detesto la patria. Il meglio, è un sonno proprio da ubriaco, sul greto."( Arthur Rimbaud, Una stagione in inferno )
L'orologio, il dio sinistro, spaventoso e impassibile,
ci minaccia col dito e dice: Ricordati!
I Dolori vibranti si pianteranno nel tuo cuore
pieno di sgomento come in un bersaglio;il Piacere vaporoso fuggirà nell'orizzonte
come silfide in fondo al retroscena;
ogni istante ti divora un pezzo di letizia
concessa ad ogni uomo per tutta la sua vita.Tremilaseicento volte l'ora, il Secondo
mormora: Ricordati! - Rapido con voce
da insetto, l'Adesso dice: Sono l'Allora
e ho succhiato la tua vita con l'immondo succhiatoio!Prodigo! Ricordati! Remember! Esto memor!
(La mia gola di metallo parla tutte le lingue).
I minuti, mortale pazzerello, sono ganghe
da non farsi sfuggire senza estrarne oro!Ricordati che il tempo è giocatore avido:
guadagna senza barare, ad ogni colpo! È legge.
Il giorno declina, la notte cresce; ricordati!
L'abisso ha sempre sete; la clessidra si vuota.Presto suonerà l'ora in cui il divino Caso,
l'augusta Virtù, la tua sposa ancora vergine,
lo stesso Pentimento (oh, l'ultima locanda!),
ti diranno: Muori, vecchio vile! È troppo tardi!(Charles Baudelaire, L'orologio)
Marc Chagall
Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l'altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità : soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri.
(Roland Barthes))« - Cane mio, cane mio bello, vieni qui, avvicinati e vieni a sentire questo eccellente profumo comprato dalmiglior profumiere della città .»E il cane, dimenando la coda, cosa che in queste umili creature corrisponde, credo, al nostro ridere o sorridere,si avvicina e posa con curiosità il suo naso umido sulla fiala aperta; ma poi, indietreggiando improvvisamente condisgusto, si mette ad abbaiarmi contro, come se mi volesse rimproverare.« - Ah, miserabile cane!, se ti avessi offerto un pacchetto di escrementi, lo avresti annusato come unasquisitezza, e forse lo avresti divorato. Anche tu, indegno compagno della mia triste vita, somigli al pubblico: a cui nonsi devono mai offrire delicati profumi che lo esasperano, ma solo lordure accuratamente scelte.»(Charles Baudelaire, Spleen di Parigi)"Acqua che ha fatto sera, che adesso si ritira,
bassa sfila tra la gente come un innocente che non c'entra niente" (Fabrizio De Andrè, Dolcenera)Ruppemi l'alto sonno ne la testa
un greve truono, sì ch'io mi riscossi
come persona ch'è per forza desta;e l'occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov' io fossi.Vero è che 'n su la proda mi trovai
de la valle d'abisso dolorosa
che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa.(Dante Alighieri, Inferno, IV)
C’è una canzone,tanto volgare e sciocca da non poter quasi essere citata in un lavoro che ha qualche pretesa di serietà , ma che traduce assai bene, nello stile dell’opera, l’estetica della gente che non pensa. La natura abbellisce la bellezza! E’ da supporre che se avesse potuto esprimersi in francese, il poeta avrebbe detto: la semplicita’ abbellisce la bellezza! Il che equivale a questa verità , che è una verità di un genere del tutto inatteso: il Niente abbellisce ciò che è. La maggior parte degli errori intorno al bello nasce dalla falsa concezione del XVIII secolo intorno alla morale. La natura in quel periodo era considerata quale base, origine e archetipo di tutto il bene e di tutto il bello possibili. E nell’accecamento generale di quel secolo, non ebbe poca parte la negazione del peccato originale. Se nondimeno accettiamo di riferirci semplicemente al fatto visibile, all’esperienza di tutti i tempi e alla “Gazette des tribunauxâ€, possiamo vedere che la natura non insegna nulla, o quasi nulla,in altre parole, che essa costringe l’uomo a dormire, a mangiare e a proteggersi, nei modi che puo’, contro gli effetti ostili dell’atmosfera. Proprio la natura spinge l’uomo ad uccidere il proprio simile, a mangiarlo, a sequestrarlo, a torturarlo; ché non appena si esce dall’ordine delle necessità e dei bisogni per entrare in quello del lusso e dei piaceri, si osserva che la natura non può consigliare altro che il delitto. Così, questa infallibile natura ha creato il parricidio e l’antropofagia e mille altri abomini che il pudore e la delicatezza impediscono di nominare. E’ la filosofia poi ( parlo di quella onesta ), è la religione a comandarci di nutrire i genitori poveri e infermi. La natura ( che altro non è se non la voce del nostro interesse ) ci ordina di ammazzarli. Si passi in rassegna, si esamini tutto cio’ che è naturale, tutte le azioni e i desideri del semplice uomo naturale e non si troverà altro che orrore. Tutto quanto è bello e nobile è il risultato della ragione e del calcolo. Il delitto, di cui la bestia umana ha appreso il gusto nel ventre della madre, è originariamente naturale. La virtu’, al contrario, è artificiale e sovrannaturale, giacche’ sono stati necessari, in tutti i tempi e in tutti i popoli, divinita’ e profeti per insegnarla all’umanita’ imbestiata, e l’uomo, da solo, sarebbe stato impotente a scoprirla. IL MALE SI FA SENZA SFORZO, NATURALMENTE, PER FATALITA'; MA IL BENE E' SEMPRE IL PRODOTTO DI UN'ARTE. Tutto quello che affermo della natura come malvagia consigliera nell’ambito della morale, e della ragione come vera redentrice e riformatrice, puo’ essere trasferito nell’ordine del bello. Sono perciò indotto a considerare l’acconciatura come uno dei segni della nobiltà primitiva dell’anima umana. Le razze che la nostra civilta’, confusa e pervertita, ama trattare da selvagge, con un orgoglio e una fatuita’ incredibilmente risibili, comprendono, proprio al pari del fanciullo, la profonda spiritualita’ dell’abbigliamento. Il selvaggio e l’infante con la loro ingenua aspirazione verso cio’ che brilla, i piumaggi multicolori, le stoffe cangianti, la maesta’ superlativa delle forme artificiali, attestano il loro disgusto per il reale, e dimostrano cosi’, inconsapevoli, l’immaterialita’ della propria anima. Guai a colui che, come Louis XV (il quale fu il prodotto non di una vera civilta’,ma di un ricorso di barbarie) spinge la depravazione al punto di non godere se non la semplice natura! La moda deve dunque considerarsi come un sintomo del gusto dell’ideale, che galleggia nel cervello umano al di sopra di tutto ciò che la vita umana vi accumula di volgare, di terrestre e d’immondo, come una deformazione sublime della natura o meglio come un tentativo inesauribile e ricorrente di riforma della natura. Si e’ anche ragionevolmente osservato (senza peraltro coglierne la ragione) che tutte le mode sono seducenti, ma seducenti in modo relativo, giacchè ciascuna rappresenta uno sforzo nuovo, più o meno felice, verso il bello, una qualche approssimazione a un ideale il cui desiderio solletica senza sosta lo spirito umano non soddisfatto. Senonchè le mode, se si vogliono apprezzare appieno, non vanno considerate come cose morte, che sarebbe come ammirare i vecchi cenci appesi, flosci e inerti come la pelle di San Bartolomeo, nell’armadio di un rigattiere. Occorre immaginarle vive, vivificate dalle belle donne che le indossarono. E soltanto così se ne può comprendere il senso e lo spirito. Se dunque l’aforisma: Tutte le mode sono seducenti, vi urta come troppo assoluto, si dica,e si sarà certi di non sbagliare: tutte sono state in modo legittimo seducenti. La donna è proprio nel suo diritto e anzi compie una sorta di dovere quando si studia di apparire magica e sovrannaturale: è necessario che stupisca e incanti; idolo,deve dorarsi per essere adorata. La donna perciò deve prendere a prestito da tutte le arti i mezzi di elevarsi al di sopra della natura per meglio soggiogare i cuori e colpire gli spiriti. Importa poco che l’astuzia e l’artificio siano noti a tutti, se il loro successo è certo e l’effetto sempre irresistibile.In questo genere di riflessioni l’artista filosofo può trovare facilmente la legittimazione di tutte le pratiche messe in opera in tutti i tempi dalle donne per consolidare e divinizzare , in certo qual modo, la loro fragile bellezza. Enumerarle tutte, sarebbe interminabile, ma per ridurci a cio’ che il nostro tempo chiama volgarmente “truccoâ€, non vi e’chi non veda come l’uso della polvere di riso, cosi’ insulsamente messo al bando dai filosofi candidi, abbia come fine e come risultato quello di far scomparire dalla carnagione tutte le macchie che la natura vi ha oltraggiosamente disseminate, e di creare un’unità astratta nella grana e nel colore della pelle, la quale, come quella prodotta dalla maglia, accosta immediatamente l’essere umano alla statua, cioè a un essere divino e superiore. E quanto al nero artificiale che cerchia l’occhio e al rosso che segna la parte superiore della guancia, benchè l’uso derivi dallo stesso principio, che è il bisogno di superare la natura, il risultato vale per soddisfare un bisogno del tutto opposto. Il rosso e il nero rappresentano la vita, vita sovrannaturale e smisurata; il bordo nero fa lo sguardo più profondo e singolare, dona all’occhio un’apparenza piu’ risoluta di finestra aperta sull’infinito; il rosso che infiamma i pomelli, accresce vieppiù la luminosità della pupilla e insinua in un bel volto femminile la misteriosa passione della sacerdotessa. Così, se non vengo frainteso, la coloritura del viso non deve essere usata con il fine volgare, inconfessabile, di imitare la bella natura e di sfidare la giovinezza. Si è osservato d’altro canto che l’artificio non abbellisce il brutto e può servire soltanto la bellezza. Chi mai oserebbe attribuire all’arte la sterile funzione di imitare la natura? Il trucco non ha da nascondersi, nè evitare di farsi percepire; al contrario, può esibirsi se non proprio con affettazione, con una sorta di candore. Concedo con piacere a coloro cui la gravità compassata vieta di cercare il bello sin nelle sue manifestazioni più minute, di ridere delle mie riflessioni e di denunciarne la solennità tutta infantile; il loro giudizio austero non mi tocca; e a me basta ora fare appello ai veri artisti e a quelle donne, del pari, che hanno ricevuto alla nascita una scintilla di quel fuoco sacro di cui vorrebbero illuminarsi in tutto il loro essere.
( Charles Baudelaire, Elogio del Trucco )